URLO sangue - E. Munch
Aggiornamento: 1 ago 2020
Sulla cornice di un quadro dipinto nel 1895 c'è un rigo di poema che protegge un ricordo:
Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza. Un dolore lancinante al petto. Mi fermai, mi appoggiai al parapetto, in preda a una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come fuoco coprivano il fiordo neroblu e la città. I miei amici continuarono a camminare e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura.
Le avete mai lette queste parole? È Edvard Munch che scrive: l'urlo di Munch, un pittore di una corrente chiamata Espressionismo, a cavallo tra '800 e '900. Espressionismo perché esprime: stati d'animo, per lo più.
Invisibili. Tangibili.
E prova a dipingere la disperata solitudine che prova a trasformarsi in un urlo di colori, per scappare da una testa stanca.
Il titolo originale è Skrik – e chissà se si pronuncia davvero così!
Norvegia, fine 1800. Edvard è un uomo tormentato, ha perso la mamma a 6 anni, una sorella, padre e fratello non troppo più adulto. Deve essere difficile trovare una maniera di distrarsi dal dolore. Depressione e crisi nervose sono il prezzo medio delle disgrazie: quanto viene al kilo questo male? Qualche anno di tormento e un paio di lacrime. Per te, mio dolce Edvard, facciamo alcolismo e solitudine. La musica è sempre un'ottima amica. Ma a volte non urla abbastanza e l'angoscia fodera le orecchie. E allora urli.
La tela è alta quasi un metro per 73 cm e mezzo. Lunga quanto la tua gamba.
Noti subito striature, onde, tutta la superficie è coperta di cordoni e filamenti.
Al centro, dal bordo inferiore, sbuca una figura ondeggiante, come una fiamma alta, un alone – ti direi un fantasma. Ma che consistenza ha un fantasma?
È viscido e leggero, tiepido, fluttuante. Sai quando sei al mare e ti stendi sul pelo dell'acqua. Senti quel movimento ritmico che ti culla e la schiena, le braccia, le gambe dondolano accarezzate da un ticchettio inesistente che ti fa sussultare. Tic toc tic toc, ma meno meccanico. Tutto morbido e ovattato, come se anche la testa fosse sott'acqua. Non sei sul pelo dell'acqua, ma sotto la superficie, sei dentro l'acqua, in piedi, quelle onde sono verticali e oscillano il tuo corpo e ti schiacciano il torace.
Sei totalmente immerso, sommerso e l'acqua è ovunque pesante, di ovatta e ti schiaccia la testa e ti soffoca.Stai annegando.Sta annegando, l'uomo che urla nel quadro di Munch.
O la donna.
Sì, c'è questa sagoma umana, né uomo né donna. Oppure entrambi.
Non ha i capelli. Una testa di uovo marcio. Sembra una pera malandata, molliccia e putrefatta, deforme, che appena la tocchi, restano i solchi di quelle dita. Due buchi grandi sembrano occhi. Due puntini sono narici senza naso ed un altro è grande. Una grande A.
Di quando hai la bocca in posizione di sbadiglio. Gli zigomi scavati, senza guance, labbra gelide. Non vedo le orecchie benché non abbia i capelli: ha le mani che reggono la testa e non capisco se si sta tappando quelle orecchie che non vedo oppure sta spremendo il cranio e l'anima per tirare fuori un urlo che gli liberi quel corpo senza vertebre. E contrasti l'oppressione dei fluttui di un mare che non c'è.
Quest'anima in pena è su un ponte e si dispera.
Il ponte di legno è duro, sembra avere schegge calde sulle travi. Si prolunga verso sinistra, sale. Le doghe sono lunghe e graffiate. Il ponte si protrae verso il bordo del quadro ed esce fuori. È una via di fuga e se lo percorri fino in fondo, puoi uscire da quel quadro e da quel lutto bollente. Sul bordo più a sinistra, percorrendo questo ponte fino a uscire dall'angoscia di striature di questa atmosfera, altre due sagome, due figure scure in cappotto lungo. Erette, filiformi, due amici fianco a fianco che passeggiano ignorando totalmente l'urlo di quell'anima pelata che marcisce di dolore. Traditori!
All'orizzonte, oltre il ponte, mi sembra di vedere una spiaggetta solitaria, lì sulla sinistra.
Sarà lì che porta questa ponte.
Sembra il tramonto. E quest'uomo forse donna si dispera.
Urla o sente l'urlo?
Non capisco se viene dal suo cuore fuoriuscendo dalla bocca o lo sta aggredendo, entrando dalla bocca fino al cuore. Soffoca.
Alle sue spalle un mare o un torrente. Dell'acqua. Ma sembra densa e profondissima, gelata. Ricurva anche lei che accompagna quel tuono muto che sembra far vibrare i colori sulla tela.
Non senti il suono, hai paura di esser sordo.
Lo senti mai quel desiderio di urlare al mondo?
Di urlare con tutto il fiato che hai, con tutta la voce e i polmoni, desiderando di sentire lo stomaco strapparsi e liberarti da quelle farfalle morte che hai ingoiato chissà quando.
Fluttua anche il cielo in lontananza: occupa una striscia in alto, forse un quarto della tela. Fasci, come lenzuola arrotolate in cordoni rossi bollenti, rossi piccanti e rossi di ragù stantio.
Acido.
Colore del sangue: avrà il calore delle lacrime dense e ferrose di quando ti tagli.
Quando ti tagli, senti quella parte di pelle bollente e pulsa, ritmicamente. Così questo cielo fatto di flutti che sibilano come un ventaccio caldo che ulula da sinistra verso destra, sopra la testa, sopra la città e resta lì sopra, senza scendere eppure dominando l'atmosfera.
Come ti senti alle 8.00 di una sera che tramonta? Tutto è calmo. Troppo piatto.
Ti senti solo in un mondo inesistente che solo tu puoi vivere e gli altri non lo vedono. Non sai come descriverlo e vuoi chiedere aiuto, ma non sai a chi.
È una visione liquida e verminosa che ti dà il prurito e le vertigini.
Sinceramente, tutte queste parole scritte finora, sembrano anche un po' sprecate. Che tanto, Munch ci ha impiegato anni e fatica a cercare di rendere visibile una sensazione di angoscia e solitudine che puoi sentire solo nel terrore di un incubo in dormiveglia, quando sei cosciente e intrappolato nell'inconscio. Quella paura che puoi sentire anche in un urlo solitario di qualcuno che non vedi e si lamenta, disperato, in questo tuono-temporale che fa vibrare le finestre, il ponte ed il cervello, quello che senti attraverso le orecchie tappate, di un muto, insopportabile e svuotato di speranza.
Esistono quattro versione dell'urlo di Munch. Quella più nota è la tela ad olio, ma il soggetto è sempre lo stesso: questa sagoma fluttuante e pelata che si regge una testa urlante e sorpresa di dolore. Alle spalle, fuoco bollente, odore di sangue bollito. Acqua rancida e pesante sotto un ponte di legno che rigido e sfuggente, conduce due amici lontani a passeggiare oltre il quadro, sordi alla difficoltà del loro amico abbandonato al suo destino.
Una sera camminavo lungo un viottolo in collina con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava - si era immerso fiammeggiando sotto l'orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliasse la volta celeste. Il cielo era di sangue - sezionato in strisce di fuoco - le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo - scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso - Esplodeva il rosso sanguinante - lungo il sentiero e il corrimano - mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente - ho avvertito un grande urlo. Ho udito realmente, un grande urlo - i colori della natura - mandavano in pezzi le sue linee - le linee e i colori risuonavano vibrando - queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie - perché io realmente ho udito quell'urlo - e poi ho dipinto il quadro L'urlo.
Dipinto più e più volte, perché quell'immagine era reale.
Morì all’età di ottant’anni, Munch, e i familiari poterono finalmente e solo allora accedere al secondo piano della sua ultima casa, da anni chiuso agli ospiti. Dentro vi trovarono stipati 1008 dipinti, 4443 disegni, 15.391 stampe, 378 litografie che Edvard aveva lasciato in eredità alla città di Oslo e che oggi sono conservate nel Munch Museum.
Comments