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  • Immagine del redattoreMayra Stella M.

Malato DI-VINO - Caravaggio


Come capisci che qualcuno è malato?

Te lo dice – che non si sente bene, che gli fa male qualcosa.

È triste.

È triste, chi è malato?

Oggi ti racconto la storia di un malato: il Bacchino Malato, noto anche come Autoritratto di Caravaggio in veste di Bacco.

Caravaggio è un nome che certamente avrai già sentito: Caravaggio è una città in provincia di Bergamo – ed in realtà al centro quasi-perfetto di una croce tra Bergamo a nord, Crema a sud, Brescia a est e Milano ad ovest.

In questa città nascono Lucia e Fermo Merisi: dalla cui coppia nasce Michelangelo.Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.

È 29 settembre, quando nasce.

Oggi è settembre, mentre scrivo.

Chissà se è settembre anche mentre tu ascolti: non piove, ma il cielo è denso e lascia traspirare un vento fresco che mi fa il solletico alle gambe.

Cosa sentono adesso le tue gambe?

È il 29 settembre del 1571 quando nasce Caravaggio: sai, tra una quarantina d'anni ci sarà una tragica epidemia di peste, la peste famosa del 600 di cui parlano i Promessi Sposi.

Ti ricordi la storia?

Renzo e Lucia in “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti” - comincia il romanzo.

Il protagonista della tela è un ragazzo, è giovane, ha la pelle tesa e morbida e profuma di frutta e sospiri.

È un dipinto ad olio su tela: la tela è grande 53 cm per 67 cm di altezza.

È ben inquadrato nella cornice, come fosse una finestra ed anche la grandezza è molto simile al reale, appena un po' più piccolo di un uomo in carne ed ossa.

La sua testa è in cima al quadro, mentre in basso al limite del bordo, c'è un tavolo di pietra. Sembra il prolungamento interno della cornice stessa del dipinto: come se il tavolo fosse il davanzale di una finestra di pittura che si affaccia sul 1594.

Te la immagini?

Una finestra così, una finestra temporale, e lui – il ragazzo – che ti guarda e non capisce cosa indossi: sai, lui ha una tunica in dosso, ed una corona di pampini e di alloro; cosa vuoi che ne sappia di camice e felpe e jeans.

Oppure al contrario ha visto i secoli e le generazioni e ha osservato mode e genti da ogni dove, chi lo sa!

Questo ragazzo alla finestra è seduto di profilo, verso destra, con le gambe accavallate – si intravede il suo ginocchio muscoloso oltre il tavolo di pietra.

Ha il volto verso destra e verso il quadro, e verso te che sei davanti.

Siete l'uno innanzi all'altro come foste in uno specchio.

Ecco: è proprio questa la sensazione, così intima che sembra di esser solo con te stesso. Forse è questo che ha portato gli studiosi e gli storici dell'arte a presupporre che si tratti di un autoritratto allo specchio: è una posizione intima, lo sguardo penetrante come stesse sussurrando “sono io, io sono me”.

Tra l'altro l'anno di realizzazione sembra coincidere con una breve permanenza di Caravaggio in ospedale: un calcio di cavallo sulla gamba.

E nel periodo di degenza quand'ancora non aveva riacquistato un colorito di salute, si pensa abbia dipinto la versione di sé stesso come Bacco il dio ubriaco.

La sua testa è reclinata appena indietro nella torsione verso destra, un po' sensuale e un po' ammiccante.

Le spalle un po' ricurve in avanti, come se volesse proteggersi il petto, ed il braccio destro è ben in vista: il gomito schiaccia il fianco, l'avambraccio tocca il petto e in mano ha un grappolo d'uva: lo avvicina al mento, con entrambe le mani, ma la mano sinistra è nascosta dagli acini, si intravede appena.

In questa posizione rannicchiata, un po' contratta eppure rilassata, sono definiti bene tutti i muscoli del corpo, in una pelle molto delicata e pallida abbastanza da far pensare che è malato, questo Bacco giovinetto. Non è certo che sia Bacco “il dio del vino e dell'ebbrezza”, ma potrebbe, data l'uva e l'aureola incoronata di foglie e pampini: queste foglie larghe e carnose che s'intrecciano ai capelli del ragazzo, scompigliati e folti e mossi, tanto bui da confondersi col buio della stanza, come se la testa si fondesse con il vuoto dello spazio.

Hai presente quando pensi tanto intensamente da perdere coscienza del tempo e il mondo intorno?

Sembra che qualcosa – la tua Essenza – voli fuori dal tuo corpo, e non importa quanto pesi o cosa senti: sei pensiero & sentimenti, sul passato o sul futuro, idee, progetti.

La testa è aperta e non sai più se il mondo entra nel cervello o il tuo cervello scappa via dal corpo-gabbia.

Tra i pampini e i capelli c'è un orecchio un po' arrossato, sembra caldo come quando ti imbarazzi o hai la febbre.

Mentre il volto esangue esanime ha il colore un po' malato, secco e liscio e delicato, come albume d'uovo sodo che se schiacci un po' più forte, crei una crepa e arrivi al tuorlo.

Sai il sapore dell'albume?

Bollito.

Questo è il bianco pallido di un volto malato.

Pallido è un colore che sembra sfarinarsi.

La bocca del ragazzo è semi-aperta e le sue labbra sono carnose, ma non sembra in salute, non sono calde e vellutate: sono bluastre.

Che è un colore appena acido, come le prugne acerbe.Il naso è largo e corto e va a dividere due occhi grandi e languidi: due olive amare, lucide di olio un po' piccante.

Ha mai mangiato olive fritte, pepe e sale?

Esplodono di polpa e di sapore, a tratti piccano e non sai se è troppo pepe o son- bollenti di frittura.

Così questi occhi: che se potessi accarezzarli, ti ungeresti i polpastrelli e sentiresti mollitudine e calore. Appena gonfi e un po' incavati.

La guancia quasi tocca l'omero scoperto: la tunica che indossa è un fazzoletto appeso che lo abbraccia sotto il fianco destro e ha un nodo morbido sulla spalla sinistra.

La tiene stretta a sé, questa tunica, come fosse un lenzuolo per coprirsi il corpo nudo, e il braccio in vista, questo braccio destro: sembra stringerlo a sé e coprire il torso e il pettorale.In mano ha un grappolo pesante di uva bianca: è un po' più dolce l'uva bianca, e meno acidula dell'altra, quella nera. L'uva è matura e un paio di acini sono marci ed appassiti.

Ma ci pensi?

Caravaggio ha dipinto gli acini uno ad uno, ciascuno piccoletto con un piccolo riflesso e l'ombra propria.

Ogni.

Singolo.

Dettaglio.

Quest'uva che gli cola tra le dita come fosse acqua corrente e zuccherina.

E sotto il gomito, c'è il tavolo di pietra.

A primo impatto, sembra quasi che si sporga con il gomito poggiato.

Invece il gomito non tocca, ed è sospeso.

E sul ripiano, in basso a destra, nell'angolo davanti, c'è ancora un grappolo di uva nera e aspra, con ancora pampini e viticci ancora rigogliosi che trabordano fin dentro la cornice.

E un paio di pesche nettarine.

Vellutate e tonde e sode.Il fondo della stanza è buio e tetro, sembra silenzioso come fosse notte e il mondo dorme.

È un po' drammatica e nostalgica la scena: e in fondo dicono che Caravaggio abbia avviato il cosiddetto realismo drammatico – sarà perché descrive col pennello attentamente la realtà, più cruda e meno imbellettata dei suoi predecessori.

La pittura fino allora è stata candida e ovattata. E invece Michelangelo Merisi ha osato e sperimentato: e se l'arte di prima è un filetto di merluzzo e un filo d'olio, quest'arte caravaggia è una tartare di tonno crudo, pepe e sale.

Credo sia stata questa la percezione del principio innovatore: Caravaggio è iniziatore della Pittura Moderna. E non a caso al suo seguito si forma il Caravaggismo, a lui ispirato e discepolizzato.

Intanto penso a come deve aver vissuto Caravaggio: e chissà se ha mai pensato a cosa avrebbe dato vita.


A volte penso che mi affanno in questa vita e spesso perdo le speranze in cosa faccio e i miei perché. Convinta che la morte spenga anima e ricordi.

Cercando la conferma che qualcosa lascerò a chi viene dopo.

Non impariamo mai: noi tutti che cerchiamo il senso estremo della vita, sperando di trovarlo ciascun per sé.

Eppure il Passato e la Storia delle enciclopedie non fa altro che ripeterci che è un circolo e ciascuno trova il senso della vita di un suo predecessore.

È questo il segreto mai svelato: il senso della vita di ciascuno, è nelle mani di qualcuno nato dopo. E se smettiamo di essere egocentrici e proviamo a far parte del Ciclo della Storia, saremo più sereni con l'idea che è un passaggio collettivo e la mia vita e le mie azioni sono segni di un racconto che qualcuno leggerà nel mondo prossimo.

D'altronde se la vita è narrazione e ognuno è autore di sé stesso, come può cercare la “Morale della Favola” prima ancora che la favola finisca?

Il senso e insegnamento di una storia è chiara dopo che la favola è finita.

È questa la ragione e paradosso per cui per noi è impossibile comprendere il disegno della nostra stessa vita prima ancora che finisca. Nessuno sopravvive alla sua fine.


Caravaggio ebbe una vita travagliata, fu iracondo e attaccabrighe – così narrano – e fu perfino condannato alla decapitazione: pensa che la pena decretata sentenziava che chiunque l'avesse riconosciuto, così, per strada, avrebbe potuto ucciderlo.

Capisci?

Una vita in fuga, sempre all'erta con la paura di essere te stesso.

Che ti senti giustiziato da chiunque ti sta attorno. Che poi non è diverso dall'insicurezza di chi sente addosso i giudizi della gente e di se stesso.

Caravaggio e la condanna a morte sono un po' metafora di oggi, di chi porta sulle spalle il peso dell'accettazione.


Si narra che il pittore avesse molti specchi nei suoi studi-atelier: su in bottega dal Cavalier d'Arpino suo insegnante, nell'atelier di Roma in via della Scrofa.

Sarà per questo che son tanti i suoi autoritratti.

Un po' come oggi gli autoscatti.

E spesso Caravaggio si dipinse in scene dove impersonava un condannato a morte, è così che si vedeva. Che poi un po' anche noi se ci esponiamo al mondo, saliamo sulla gogna confidando che la platea del popolo applauda e ci risparmi.

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