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Immagine del redattoreMayra Stella M.

OROLOGI MOLLI - S. Dalì

Aggiornamento: 31 lug 2020

La Persistenza della Memoria è il titolo ufficiale di un quadro dove i protagonisti sono 4 orologi sciolti.

Ma non è possibile! Non è reale!Direte voi.

E avete ragione: non è reale, è Surreale.

Surreale – la parola – vuol dire “che supera, che oltrepassa le dimensioni della realtà sensibile ed esprime la vita interiore, del sogno”.

Dalì è stato un pittore Surrealista, ma il Surrealismo non ha voluto Dalì: ci sarebbe da parlare per ore di questo pittore, curioso figurino dai baffi a punta e gli occhi tondi come olive piccanti. Piccanti come le sue critiche ed i significati dietro le sue opere.

Ma questo non è un podcast di critica sulla Storia dell'Arte.

Né tanto meno di politica intrabellica sugli anni Venti.

Ed io non sono una storica dell'Arte.

Il Surrealismo fu un movimento artistico, nato in Francia e sviluppatosi negli anni Venti, tra le due Grandi Guerre. Coinvolse tutte le forme d'arte, anche cinema e scrittura.

E voleva far tutto fuorché restare nella Realtà: fuori dai corpi della gente. In quei corpi Reali c'erano già stati spari, crolli e figli morti. Gli occhi non avevano più bisogno di vedere fuori dal corpo.Il pensiero, il sogno: era il suo momento.

Le allucinazioni, si fanno largo e pervadono lentamente le immagini.

Come un calore diffuso, sempre più intenso.

Come il bagno al mare di sera e l'acqua calda che si arrampica sulle cosce.

La crema pasticcera ancora calda nel bignè.

Cola. Come formaggio fuso.

Come gli orologi di questo quadro: molli.

E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert (un formaggio) molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando.” […]

24 cm x 33 cm

Poco più grande del quadernone di matematica, quello del liceo.

Eppure ci sono tantissimi dettagli, di quelli che puoi dipingerli col pennino stilografico.

Nel complesso è una finestra silenziosa. Deserta.In basso a destra, nell'angolo fino al centro, è tutto in ombra, che ha quel fresco caldo di sotto l'ombrellone sulla spiaggia.

C'è afa tutt'attorno, ma lì, almeno sotto l'angolo, si respira senza ustioni. Senza ovatta.

Al centro della tela e al limite dell'ombra, vedo dei sassi aguzzi e sopra i sassi c'è qualcosa di sdraiato, quasi sciolto.Sembra prima un lenzuolo stantio, forse di lino-del-deserto. Ma poi, passandoci la mano per toccarne la consistenza, sembra essere budino o impasto crudo. Ed incontro anche delle ciglia ed una palpebra. Un occhio chiuso.

E mi accorgo che questa macchia bianca è un volto di profilo, sciolto sulle pietre mentre dorme. È grande quanto i sassi, ma nell'immagine sarà grande quanto la mia mano.

Un profilo sciolto.

Avete mai sentito dire “spalmàti sulla sabbia, sotto il sole”?

In realtà io no.

Ma se esistesse questo modo di dire, avrebbe senso in questo quadro.

Intanto, sulla guancia del profilo, è adagiato un orologio, anche lui sciolto, uno di quelli da taschino, a cipollotto, col quadrante volto al cielo.

Dall'angolo a sinistra, qui davanti in basso, una sagoma spigolosa, come un cassettone in legno, un baule massiccio che non so quanto è grande, ma arriva a metà quadro ed è tutto al sole. Sarà bollente e secco. E sul bordo più lontano, spunta un ramo di qualcosa. Un ramo biforcuto, sembra di betulla.

Sapete com'è il legno di betulla? Sottile, nodoso e liscio.

Ha un solo ramo, questo ceppo: come un ragazzetto scheletrico su di un piedistallo con un braccio aperto, protratto e ben teso e appeso, sul braccio di betulla un altro orologio stanco e sciolto.

Sento la stanchezza delle 3 del pomeriggio, quando hai perso la colonna vertebrale e ti appendi dove capita, ti sciogli sulla sedia, sul divano o sopra il tavolo. Il tuo corpo molle accompagna le forme a cui si poggia e chiudi gli occhi lentamente.

Non sai più se vedi o sogni.In dormiveglia.

Le orecchie bollenti e le guance accaldate.

Devi alzarti. A fare cosa?

Stai tranquillo. Tutto tace e tutti dormono.

C'è quiete, dopo pranzo, e il tempo è fermo come le lancette di questi orologi di formaggio.

Ancora un orologio aperto e sciolto, di metallo, ottone – credo – e sul quadrane c'è una mosca: fastidiosa, sporca. Estate.

Si scioglie liquefatto sotto la betulla, sul bordo del cuboide. L'orologio dalla schiena spezzata.

Se lo tocchi è incandescente oppure è viscido come la pelle di un serpente.

L'avete mai toccato un serpente?

Io sì. Era morto.

E io ero piccola.

Me l'ha portato mio papà: non ho mai avuto problemi coi serpenti e le lucertole. Con gli animali in genere e nemmeno con la morte.

È viscida, ma non unge.

La pelle di serpente, non la morte.

Anzi: forse viscida, la morte, un po' lo è.


Ed in ultimo, ma in primo piano qui a sinistra, c'è ancora un orologio, chiuso, non puoi toccare le lancette. Non vedi neanche i numeri.

Gli altri orologi erano nudi e senza vetro e le lancette bene in vista. Ed a toccarle ti saresti punto.

Mentre questo e chiuso ermetico e non è ancora sciolto, sembra integro come un'ostrica arenata. Sopra è coperto di formiche.

Sembrano decorazioni in perla, su quest'ostrica del tempo, decorazioni che a toccarle sono come chicchi microscopici, semini.

E invece sono solo formiche.

Le zampette sottili martellano il cruscotto.

Biscotto.

Questo pensano le formiche che cercano affamate. Il tempo è chiuso nell'orologio di caramello e zucchero di canna. Se lo lecchi, di certo è dolce e appiccicoso. Il tempo che non vedi è un po' più dolce.

In lontananza a questa scena sulla sabbia, c'è il limite del mare: a destra scogli spigolosi e precipizi; a sinistra una tavola di truciolo, dimenticata a terra come fosse una porta orizzontale.E in cima al quadro, il cielo.

È quasi l'alba o il tramonto.

Eppure fa caldo, in questa terra solitaria senza tempo, che nessuno sa dov'è.

Dalì lo sa.

Lo dice qui:

Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera, che mi era riuscito di creare in quel dipinto, doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato”.

Dalì non sa una cosa.

Il suo quadro, quello della sera che non andò al cinema.

Ora è a New York.

E ha un altro nome: Orologi Molli, lo chiamò lui.

Fu ribattezzato dall'ultimo acquirente La Persistenza della Memoria.

Quest'ultimo acquirente lo vendette al MoMa di NY.

Per 350 dollari.

Dalì, tu che ne pensi? In fondo, hai dipinto questa tela in una sera.

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