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Immagine del redattoreMayra Stella M.

NOTTE STELLATA DI MARE - V. Van Gogh

Aggiornamento: 1 ago 2020

I cipressi mi preoccupano sempre. […] Sotto cieli tormentati non ho avuto difficoltà nel cercare di esprimere tristezza e solitudine estrema. Vincent Van Gogh

Una stanza vuota, una finestra e il vento. È il 18 giugno 1889. O forse è già 19.

Fuori c'è un cielo, in sospeso, in attesa del giorno.

Fuori c'è un cielo vestito di stelle.Fuori: c'è una notte stellata. Fuori.

Ma dentro?

Chi c'è?



Linee ondulate e parallele, una distesa di cera semiliquida pettinata dal vento. Rilievi, colline? Montagne? Ombre scure e ribollenti, trascinate da una corrente vorticosa di spazio e stelle occhiute, di un fuoco freddo, che rotolano sparse come biglie sul tappeto di una carambola: il suono foderato e pesante. Stelle.

Tremano come il tepore pulsante di una candela, quando avvicini il palmo. Il caldo arriva sparso sulla pelle, il palmo non è scaldato tutto, omogeneo, ma a pizzichi.

Così il colore ad olio che dipinge queste stelle: pizzichi di colore, a tratti lasciano la tela in vista, la trama scoperta, la stoffa nuda. Solchetti di colore non spalmato.

Come sono le stelle oggi?


Chissà qual è l'oggi in cui tu stai ascoltando: forse è già estate.

Avete presente le notti di giugno?

Ma sì.


Oggi, qui, c'è una finestra.

Alta poco meno di un braccio e lunga poco meno di un metro. Una notte stellata.

Saint-Rémy de Provance. C'è un monastero: struttura per alienati mentali, dicono.

È la stanza di Vincent. Van Gogh.


Van Gogh è noto per i suoi girasoli.

Ma non voglio descrivervi quelli, oggi. Sarebbe inutile: che senso avrebbe descrivere il profumo di un girasole a chi già può annusarlo?

Descriverne la consistenza sfrangiata e leggera, l'odore d'estate?

Esiste qualcuno, nel mondo, che può godere di quel profumo senza cadere nel tranello di un giallo seducente e bugiardo che ruba la scena all'odore dei fiori.


Siamo nel Sud della Francia, ma non sulla costa. A Sud della Francia, in linea con Pisa.

Come sono le notti di giugno in Toscana?

Chissà dove sei tu che mi ascolti.


Questa è la Notte Stellata di Van Gogh, una finestra sulla notte provenzale, appena fuori dal monastero dov'è da circa un mese. Ricoverato.

Da questa finestra, un pittore osserva il mondo, lo acchiappa e lo rinchiude in una tela: me lo immagino, Vincent, seduto lì davanti. La finestra aperta, è quasi estate, tra due giorni.

Me lo immagino seduto su una sedia. Ed un blocco da disegno, fermo, nel silenzio, tra i sussurri del vento.

Sento l'aria fresca di salsedine montana che mi pizzica le guance.

Qualcuno vi dirà che in questo quadro c'è un immenso cielo e tante stelle; in basso, a sinistra, l'ombra di un cipresso e poi un villaggio.

Non è vero.La prima cosa al centro della tela sono due onde immense, cavalloni.

La notte di Van Gogh è un grande mare mascherato da cielo: occupa più di metà tela e sembra muoversi in un flusso.

Queste due onde immense arrivano da sinistra, dal basso verso l'alto: una più grande, arriva al centro e mangia quella sotto.

Sapete quando il mare è burrascoso?

Se chiudi gli occhi e stringi i denti, soffia forte: arriva da sinistra. Come un respiro annoiato, stufo e pensieroso. Sbuffo. Uff

Un'onda rumorosa che arriva da sinistra e cade al centro, mangiando un'onda un po' più bassa e scivolosa, sotto lei.

Fanno schiuma e si allungano verso destra.

Sembrano aggrapparsi l'una all'altra, ma rincorrono la luna.Una luna grande e ruvida, ha il colore di un'arancia scolorita. Di quelle fuori stagione, con la buccia di cera, molliccia ma non troppo. Questa luna non è tonda: una lama di falce. Potresti prenderla con la mano destra, sarebbe un semicerchio con due punte, un corno piatto. È pesante e densa, come una patata. Ecco, sembra fatta di patata: sapete che il primo quadro di Van Gogh che fu degno di riguardo tra i suoi contemporanei, ritrae dei contadini che mangiano patate? I mangiatori di patate. La luna trasuda amido.

Questa notte divora la sua luna di patata.


La luna, luminosa. Il cielo d'acqua sembra fare il rumore delle onde, tante piccole striature, come pizzichi, colpetti. Vibra.

Se potessimo toccarlo, il cielo, vibrerebbe forte sotto i polpastrelli, sentiresti cordoncini di materia appiccicosa e molle, come plastilina: olio, argilla e cera.

Ci avete mai giocato da bambini, con la plastilina?

È morbida e compatta, si modella tra le dita, si riscalda. Non puoi fare a meno di schiacciarla, pizzichi, ne strappi un po' per volta e la sfreghi tra le mani, unendo i palmi: formavo sempre cordoncini lunghi e rotolanti. Cordoncini stesi sul banco dell'asilo, come lombrichi. Aprivo i palmi e li appoggiavo dolcemente – le dita tese – facendo rotolare avanti e indietro quella plastica gommata.

La notte di Van Gogh è plastilina stesa male, gommata, solida.

Ogni pennellata è giustapposta a quella accanto. Non ha steso il colore col pennello. L'ha usato come fosse un cucchiaino col gelato: ne ha raccolto un pezzo e l'ha posato sulla tela. Un cucchiaino accanto all'altro. E poi è arrivata un'onda e ha trascinato quel gelato di colore.


In questa ondata da sinistra verso destra che occupa la tela in lungo e in largo, ci sono sparse e vorticanti altre stelle.

Ma prima delle stelle sparse come lucciole e fiammelle, distoglie l'attenzione un'ombra lunga e appuntita.

La luna è in alto nell'anglo a sinistra, ma in basso a destra, dall'angolo fino a quasi metà quadro, si sollevano dei cordoni aggrovigliati. Scuri, aguzzi, rigidi? Legnosi? Pietrificati. Sembrano esser stati molli e fluidi un tempo. Sanno di liquirizia e muschio.

Radici. Sono un albero. La cima.

Un cipresso, dicono. Ma non vedo gàlbuli.

A me sembra una fiammata spenta sul più bello. Come se nel mentre che bolliva scoppiettante, qualcosa l'ha bloccata: così, pietrificata mentre arde. La base larga, si assottiglia in un triangolo sottile la cui punta taglia il cielo e sfiora il bordo superiore della tela. Distoglie l'attenzione dalle stelle, sta davanti, in primo piano: è la cosa più vicina alla finestra e fa da ponte. Tra questa stanza vuota e il mondo fuori.


Il cipresso trafigge le onde, ma le onde tondeggianti sospingono e sconquassano le stelle. Disordinate, rotolano dovunque, sopra, sotto, quelle onde, alcune stanno per cadere sulle case del villaggio in basso a destra.

Queste stelle sono tonde e frammentate. Ognuna ha un suono: come le gocce che cadono a piombo in una pozza d'acqua e fanno dlin.

Gutta cavat lapidem.

La goccia scava la pietra.

Questi piccoli limoni appena nati sono gocce di colore che costellano la tela.

E tutto il cielo sembra un mare fatto d'acqua che riflette una notte di giugno.

Ci siete mai stati al mare di notte?

È timido di giorno. Sta zitto, coperto dalle voci dei bambini e della gente.

Ma la notte.

La notte il mare parla e soffia, sento il suono delle onde che sposano il vento, si accarezzano e le sento da sinistra verso destra. A volte un'onda, a volte due, si rincorrono e rincorrono la luna che le guarda da lassù.

Questo cielo è fatto d'acqua, ne senti la salsedine e la brina.

Se potessi accarezzare questo cielo, sentiresti l'umido e le gocce: dlin, dlin. Schizzi.

E all'improvviso quel cipresso è fatto d'alghe: callose, viscide, sottili, fluttuano senza gravità.


In basso, appena sotto la metà di questa scena, una fascia: forse sono montagne in lontananza. A me sembra una scia: e non so bene se – a toccarla – è come il pelo di un coniglio.

Le onde della notte si adagiano su questa fascia in lontananza e segnano un confine. Di riposo.

Sotto questa fascia luminosa orizzontale, ombre scure. A destra. Ovattate, come il suono che non senti con la faccia dentro l'acqua. E l'acqua nelle orecchie blocca il suono.

Tum, tum. Senti l'ombra delle voci.

Quasi silenzio.

Sotto quel silenzio, sotto il cielo-mare di pelliccia e plastilina, un villaggio.

Solo tetti, finestra e un campanile solitario.

Poche luci, qualcuno è ancora sveglio. O già svegliato. Non so quale sia il punto della notte intrappolato in questo quadro. Ti capita quel giorno in cui non dormi e il tempo passa, senza ore, dilatato? Fuori è buio. Pensi tra te e te. È un attimo, e fuori è giorno.

Il sole si solleva all'improvviso: sono state le onde a farlo rotolare sulla cresta del giorno dopo, mangiando la luna.


Torno sempre a descrivere quelle onde in mezzo al cielo di Van Gogh, ma sono le vere protagoniste del dipinto; sono vive e conducono lo sguardo e il movimento dei colori.

Hanno il profilo di un giaguaro. Rampante.

O di una mano che si poggia sulla spalla di qualcuno avanti a noi. Il palmo concavo all'ingiù, accompagna la curva dell'omero. E si aggrappa.


In basso a destra, nell'angolo più umano, case e ulivi: un villaggio.

È Saint-Remy?

A dirla tutta, dalla stanza di Van Gogh al monastero, questo scorcio era invisibile.


Vincent nacque in Olanda nel 1853 e a 36 anni decise di restare qualche tempo in questa clinica isolata. Visse tranquillo. I primi mesi.

Qualcuno ti dirà che questo quadro è frutto dell'inquietudine di un animo malato.

Non è vero. Questa notte stellata è il ritratto della quiete rilassata e silenziosa. Riconciliante, nella sensazione di una natura terribilmente grandiosa.


Vincent nacque in Olanda a metà Ottocento e dipinse soltanto negli ultimi 10 anni della sua vita. Qualcuno ti dirà che ha vissuto poco: aveva 37 anni quando si è suicidato.

Aveva 37 anni, 3 vite diverse e circa 850 lavori. In dieci lunghissimi anni, dopo altri 10 nei quali fu predicatore. Aveva 37 anni, quando è morto, 37 anni e 3 vite alle spalle.

Qualcuno ti dirà che ha vissuto poco: non credergli. Ha vissuto molto più a lungo di tanti mortali comuni, che passano il tempo, la vita ed i giorni senza scoprire chi sono davvero.

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