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Immagine del redattoreMayra Stella M.

MARILYN STRAPPATA - M. Rotella

Aggiornamento: 1 ago 2020

Strappare manifesti dai muri è la sola compensazione, l'unico modo di protestare contro una società che ha perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose. Mimmo Rotella

Chi sia stato Mimmo Rotella, forse non tutti lo sanno.

È stato un artista. Per quasi settant'anni.

L'artista Pop italiano.

Il volto europeo di Andy Warhol? Forse sì. O forse il contrario.

Ma che importa?


Importa ciò che ha fatto. E che ha cambiato.

Chi ha cambiato.

Ha strappato ed incollato. Non serviva creare dal nulla: esisteva già tutto.

Tutto il necessario per dire qualcos'altro.

Con le immagini.

Perché a volte, ci mancano le orecchie e l'attenzione, ed ascoltiamo solo i punti di rottura.

Crash.

Uno strappo.

Qualcosa si è rotto.



Mimmo Rotella strappava i manifesti. Sì, quelli affissi per le strade, quelli cinematografici. Girava per le strade di una Roma anni '50: i muri cittadini con le foto degli attori, enormi manifesti, come quadri. E tutta la città museo gratuito.

Me lo immagino, a passeggiare per le strade romane.

Era tornato l'altro ieri dall'America. Kansas City, Stati Uniti.

E prima ancora Napoli e poi Roma e poi Parigi.

Che cosa avrà pensato, al suo ritorno?

Cammina per la strada, attento? Distratto?

A cosa pensi tu, quando cammini?

Al tuo ritorno da qualcosa di speciale. A cosa pensi?

Cammina tra i rumori e le persone. Cammina tra i pensieri.

Ed ecco là! Marilyn.

Ho letto da qualche parte che Rotella la chiamava Illuminazione Zen, quell'intuizione.

Quella di strappare i manifesti, di toglierli dal muro di una città qualunque, salvandoli da macero e dando a quei pezzi di giornale vita nuova e dignitosa.

La dignità artistica che sapeva trasformare un oggetto comune, di scarso valore.

Tolto, quell'oggetto, dal suo contesto naturale. E dato all'arte.

Affidandogli un messaggio e una memoria.


Ho scelto Marilyn del 1963.

Un grande manifesto alto 1 mt e venticinque e largo 95 cm.


È blu e un po' di arancio acceso, quasi rosso.

E il viso enorme di una Marilyn Monroe appena morta.

Il viso di una Marilyn più grande del normale: una volta e mezza, quasi due.

Ad occhio e croce, grande quanto un foglio di quaderno, un po' di più.

Al centro, il viso, appena a destra, appena in alto. E guarda me che guardo lei.

La testa reclinata, un po' all'indietro.

L'attrice è bella, sì, ma forse tu non l'hai mai vista e allora devo raccontartela.

Questa attrice mistica, un po' dea della bellezza di quegli anni, ha un volto ovale e liscio come il marmo. Come un petalo di rosa, uno per zigomo.

Il mento tondeggiante segue la bocca semichiusa. Le labbra carnose e sode, rosso arancio come il cerchio dal quale sbuca un po' ritorta questa Venere.

Denti luminosi come il sole a mezzogiorno, allineati, sovrastano il sorriso rubando la scena anche allo sguardo.

Sembra stia per sospirare. Ma non dice. Non dice nulla, la carta è muta.

E lei è morta l'anno prima. Suicidata.

La bocca dice A ma senza suoni.

Il collo è lungo e coronato da un collare scuro. Fatto di quadrati, pietre dure.

E gli orecchini uguali.

La spalla, la sinistra, in primo piano.

Sembra offrirmela. Un po' ricurva, come a far da scudo al petto.

Quando reclini la testa indietro, il mento smette di proteggere il torace e allora le spalle vengono in avanti ad arginare il cuore e il seno. E sbuca una clavicola evidente che fa ponte con lo sterno.

La spalla, pelle liscia, è vellutata, una pesca gigante che, ad occhio e croce, sarà grande quanto la copertina del mio libro qui davanti.

Ed uno strappo.

Zac.

Ferito l'omero di pesca, da uno strappo al manifesto. Lacerato.

A scacchi duri, questo strappo che scavalca la clavicola ed entra. Nel petto della bella.

Lo strappo indica il bordo di questo cerchio arancio dal quale Marilyn sembra affacciarsi.

Seguo la circonferenza, dalla spalla risale e arriva al bordo della testa.

Non ho descritto gli occhi. Ed i capelli.

Capelli di onde d'oro, di quelli cotonati e un po' ricurvi, timidi sembrano richiudersi a conchiglia. Paguro. Arrotolati in loro stessi, nascosi dietro al collo.

Un ciuffo coraggioso sfiora la zigomo sinistro. Quello destro ha un neo, appena, rilievo elegante, sembra essere sfuggita una goccia a chiunque abbia disegnato il bel faccino.Il naso piccolo e appuntito, non dà segni di esistenza. E gli occhi?

Gli occhi non ci sono.

Non c'è sguardo per la donna più sensuale d'ogni tempo.

Ha gli occhi semichiusi e delle ciglia così folte che fanno specchio al sopracciglio.

Folte e rigide le ciglia.

Quante lacrime hanno visto?

Hanno visto?

Le pupille non ci sono. Più nascoste di una lingua che non c'è.

E sulla tempia dove sono scriminati i suoi capelli, un altro strappo.

Deciso, questa volta, quasi un terzo occhio.

Altri due strappi si fiondano dal ciuffo della fronte.

Due antenne gigantesche che non falciano la faccia.

Ripiegati su se stessi come chele di una mantide.

Ed anche un altro strappo che squarcia il seno destro. Non si vede.

Blu mare il manifesto appiccicoso. Deve essere stato sporco, appena preso. Di colla e polvere.

E le grinze fastidiose che rigano quel volto delicato più degli strappi.

Sottili, le increspature di una carta irrigidita. Dal tempo e dalla colla.

Un manifesto. Rubato alla città, agli sguardi dei passanti indifferenti.

Ed allor chiuso in un museo, attira più curiosi di una folla.


In basso a destra, il nome scritto in grande: Marilyn. Un cuore sul puntino della i.

In alto ancora altre parole, come un titolo nascosto: “La storia di una delle donne più belle” strappo “presentata” - lo – da – rock - “con le scene inedite del suo film in...” strappi.

Strappi su strappi intervallano il messaggio ed interrompono qualcosa che non so.

La vita interrotta di un'attrice.


Era un manifesto come un altro, sopra un muro inosservato.

Mimmo camminava. Lo vede e vede oltre.

E ciò che prima stava tra gli sguardi indifferenti, ha oggi un posto in un museo.

E nella memoria.

Rinato dalle mani di un signore che strappava la carta per scoprire la memoria cittadina.

Il contrario del collàge. Decollàge: nasce con lui, nel 1953 – Roma.


Lo strappo consistente che a toccarlo senti i bordi spessi di una colla secca e dura.

Come i volti degli attori statuari in bella posa e a tutta altezza, che nascondono un messaggio indecifrabile e criptato.

Versi. Epistaltici.

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