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  • Immagine del redattoreMayra Stella M.

JEANNE senz'anima


Di ritratti è piena la storia dell'arte.

Ritratto: dice il dizionario, è una

Opera d’arte o fotografia che ritrae, cioè rappresenta, la figura o la fisionomia di una persona.

Chissà se per per “figura, fisionomia”, si intende anche la forma della sua anima.

Leonardo Da Vinci dice gli occhi sono lo specchio dell'anima.

Quindi per dipingere gli occhi di qualcuno devi conoscere la sua anima, devi vederla.E qui non ti serviranno i tuoi occhi fisici.


Amedeo Modigliani deve averlo saputo molto bene.

Amedeo Modigliani: Modì.


Modigliani ha dipinto molti ritratti, tanti a Jeanne, quasi tutti senza occhi.

Tutti con un collo lungo e affusolato.

Anche io oggi, ti racconto un ritratto: a Jeanne. Lei è la donna di cui Modì si innamorò.

Ho scelto un ritratto in cui lei ha un cappello di feltro.

La favola del loro incontro vuole che si siano visti per la prima volta nell'Accademia d'Arte che Jeanne frequentava, l'Accademia Colarossi, una delle pochissime che al tempo ammetteva donne e dava loro la possibilità di dipingere nudi maschili. Siamo negli ultimi anni dell'Ottocento. Inizia il Novecento. A Parigi.

Ecco, il cappello in feltro: Modigliani vede Jeanne e fuori piove.

Si scambiano parole e lui le dà il cappello. Questa è la favola del loro primo legame.

Hai mai toccato un cappello in feltro?

È pesante, spesso, come una coperta rigida d'inverno.

Come quei maglioni che hai lavato tante volte e sono duri e ispidi. Ma tu li tieni ancora perché ti abbracciano da tanti anni e profumano d'inverno e casa.

Questo è il cappello in testa alla donna del dipinto che ti racconto oggi.


È un dipinto olio su tela, 55 x 38 cm. È il 1917, la Guerra Mondiale sta finendo.

A Parigi non c'è già più nessuna guerra.

Il dipinto è alto quanto la spalliera di una sedia e appena un po' più largo. Sai un quaderno delle superiori? Quel quaderno aperto, più una spanna.

Il quadro non è enorme e il volto ritratto sarà grande appena un po' più del reale.

Il cappello tocca il bordo superiore e il bordo sinistro.

Ha la forma di un cilindro ed una visiera larga come il bordo di un gran piatto, come il davanzale di una finestra, tutt'attorno alla fronte.

Da questo largo davanzale, scivolano fuori un viso e dei capelli.Il viso è ovale, un po' allungato: come l'uovo di una papera gigante. Come l'uovo al cioccolato della Pasqua.

Sembra liscio e fresco, proprio come la buccia di quell'uovo. E se lo annusi non ha odore. Sa di nulla e povertà pulita, un uovo lesso senza sale e condimenti. Solo essenza e pulizia.

Questo viso è un po' inclinato verso destra, solo appena.Il naso alto e stretto che divide le due guance e arriva alle labbra di una bocca semiseria.

Non ride, non sorride, giusto appena rilassata e sembra quasi dire mmhh. Un sospiro di sollievo o forse sfida. Questo viso uovo in equilibrio su quel piedistallo che è il suo collo. Lungo quanto la lunghezza del suo naso, lungo più della sua mano.

Prova a stendere la mano sul tuo collo: vedi? Dal palmo alla punta delle dita: non ci stanno tutte sotto al mento. E invece i colli Modiglianici sono lunghi come l'estensione di una mano. Lo vedo bene perché in questo ritratto Jeanne si tocca il mento, in basso a destra, con due dita, come fosse pensierosa.

Le spalle sono basse e rilassate, un po' richiuse. Sono quasi inesistenti, quasi verticali.

Collo e spalle formano un imbuto a testa in giù.

E il petto è una semiluna incorniciata da uno scollo tondeggiante.


È molto semplice e diretta questa immagine.

Come accade nei ricordi a primo impatto, nel ricordo di una musica o un'immagine: i dettagli non ci sono. O meglio, emergono se ti fermi a pensarci.

Ciò che resta nel ricordo è una sintesi immediata di una melodia, una sensazione,una reazione al gusto amaro del caffè, la puzza acre della sansa o il tatto ruvido di un tronco scorticato.

Qui l'impatto e definito e lineare tondeggiante, le forme nel complesso sono sinuose e scivolanti come le anfore in ceramica, come il suono di un violino, come se portassi una mano a mezz'aria e la oscillassi, ondeggiando i movimenti, come fossi il direttore di un'orchestra immaginaria di violini e flauti.Tutto scivola veloce come l'acqua della pioggia sopra i vetri.

Modigliani è famoso per il suo lavoro rapido: si dice che completasse un ritratto in una o due sedute. Una volta terminati, non ritoccava mai i suoi dipinti. Eppure, tutti coloro che avevano posato per lui dissero che essere ritratti da Modigliani era come "farsi spogliare l'anima". Volti piatti e vagamente ricordanti una maschera, con bocche increspate, nasi storti e colli allungati, distintivi occhi a mandorla.

Già, gli occhi: in questo quadro e in tanti altri, gli occhi non ci sono.

Non ci sono le pupille, sono solo due fessure decoranti, come pietre su un gioiello, ma non guardano e non parlano.

Sopracciglia rilassate e gli occhi muti sono aperti eppure assenti.Il colore in questo quadro, è quello veritiero degli occhi di Jeanne: azzurro cielo.

Azzurro cielo non credo abbia un profumo. Forse ha una sensazione: è freddo e sottile. Come gli spifferi di vento in una stanza, come la prima aria fresca dopo il temporale a inizio autunno. Sai quand'è settembre e piove e dopo non è caldo come agosto. La mattina alla finestra non c'è afa.

Questo è azzurro cielo. Un sibilo di fresco dopo un po' di pioggia e sa di umido e di autunno.

Un po' nostalgico.

I quadri di Modigliani hanno corpo e consistenza: lui si era inizialmente pensato come scultore più che come pittore. E questa vena materiale si conserva nelle immagini dipinte e rende tutto un po' più semplice alla descrizione. Sono corpi pieni, puoi toccarli e percepire dimensioni solide e armoniose: una tecnica ibrida tra scultura e pittura. I suoi corpi sembrano scolpiti attraverso colore e pennelli.


Modì non fu scultore perché aveva la tubercolosi, mal guarita da bambino.

Le polveri dei materiali lo avrebbero ammazzato.

Non lo fecero le polveri, lo fece la meningite tubercolare, un 24 gennaio. Quello del 1920.


Modigliani fu famoso anche per la sua condotta di vita bohémien: droga e alcol accompagnano i racconti attorno a lui. Un artista maledetto, si direbbe in gergo.

Eppure, chi lo sa che cosa lui davvero sentiva?

Cosa avrebbe mai potuto dirti se lo avessi incontrato?

Non sappiamo cosa accade nella testa di chi beve e chi si droga.

Non potremo mai saperlo oppure lo sappiamo già, perché in fondo sono, siamo tutte teste e sentimenti, con paure e debolezze.

E se non prendi le distanze e abbassi appena i pregiudizi, un ubriacone è un uomo debole che cerca l'allegria, la droga è forza e un po' rifugio di chi cerca un altro mondo.

C'è uno scritto che mi ha colpita, è di Severini, pittore e critico d'arte:

«Dove sono quegli abusi di cui si è fatta tanta letteratura? E dopo tutto, che credono i borghesi, che si faccia un quadro nello stesso stato di spirito con cui s'infinocchia un cliente? Quanta gente è più volgare senza bere un dito di vino, che non lo fosse Modigliani dopo avere preso due o tre assenzi! Del resto non bisogna credere che Modigliani avesse bisogno di eccitanti per essere brillante, vivo, vivo e pieno d'interesse in qualunque momento della sua vita. Se a Montparnasse tutti gli volevano bene, non è mica per quello che lui era eccezionalmente, quando aveva bevuto, alla sera, qualche assenzio, ma per quel che lui dimostrava di essere usualmente nei suoi rapporti quotidiani con i camerati, e in ogni momento del giorno.»

Jeanne era incinta al nono mese, quel 24 gennaio 1920 di Parigi.

Jeanne non ha mai partorito quel bambino: si è lanciata dalla finestra del 5° piano il giorno dopo.E se ti stai chiedendo se alla fine Modigliani ha dipinto gli occhi e la sua anima: beh, sì. Nell'ultimo ritratto di una Jeanne incinta.

Ma questo è un altro quadro ed un'altra storia. Intano ora sono insieme a Pere Lachaise, il cimitero popolare di Parigi, mentre il dipinto col cappello è in una collezione privata in Giappone.

«La vita è un dono, dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno.»

scrisse Modigliani.

Ma dell'amore...

“Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all’inferno? Io l’ho fatto.”

Jeanne Hébuterne.

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