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  • Immagine del redattoreMayra Stella M.

Les Nymphèas ubriache - C. Monet


Tutti conosciamo le Ninfee di Claude Monet, ce ne sono molte versioni e le si trovano nei musei più importanti del mondo. Ma qui, all'Orangerie, è un'esperienza totalmente diversa. Perché queste Ninfee, che se ne stanno sulle lunghe pareti ovali, ti avvolgono completamente: tu fai parte di loro, sei dentro loro.

Che profumo hanno le Nifee?

L'hai mai incontrato, uno di questi fiori magici che vivono dondolandosi sull'acqua?

Sai, le ninfee si chiudono ogni sera e si riaprono solo nei giorni in cui il cielo è sereno.

Forse starai pensando che sei anche tu un po' ninfea: vorresti aprirti al mondo solo quando il cielo è sereno e le acque sono calme. E in fondo, quando fuori è buio e cupo, o solo è notte, te ne stai chiuso lì, accoccolato che abbracci le ginocchia e chiudi gli occhi.

È il 1893 e con queste parole Claude Monet inaugura la sua ultima fase pittorica, la fase delle Ninfee.

Ho di nuovo intrapreso cose impossibili da compiere: acqua e piante che oscillano nel fondo. Fatta eccezione per la pittura e il giardinaggio, non sono buono a nulla. Il mio capolavoro meglio riuscito è il mio giardino.

Le Ninfee sono state l'ossessione-ispirazione costante di Claude Monet: lo conoscete?Ma sì, sicuramente: è stato il pittore papà dell'Impressionismo, che – scrive lui stesso qualche mese prima di morire – avevo avuto il solo merito di aver dipinto direttamente di fronte alla natura, cercando di rendere le mie impressioni davanti agli effetti più fuggevoli, e sono desolato di essere stato la causa del nome dato a un gruppo, la maggior parte del quale non aveva nulla di impressionista.


Le protagoniste del mio racconto di oggi sono le Ninfee di Monet.

Sì, facile dire “le ninfee”: le ha dipinte per tutta la sua vita e ci sono almeno 250 suoi lavori che le ritraggono! E proprio per questo, ti confesso che sono emozionata e un po' ho paura: paura di non rendere abbastanza onore a questo lavoro immenso.

È immenso, e non solo per il numero di opere: le ninfee più famose sono a Parigi, due stanze e le pareti interamente decorate di fiori e salici dipinti.Sono al Musée de l'Orangerie, questo edificio che completa il Jardin des Tuileries, e dall'altra parte del giardino il Louvre; e ti prego, perdonami se ho sbagliato la pronuncia.

Stai per entrare, sei in fila e senti gli uccellini e i grilli e qualche foglia che accarezza il vento. Il vocio della gente attorno. Poi, un passo alla volta, sei dentro. L'ingresso è di grandi vetrate, fa caldo, gli animali non possono entrare. E neppure il vento. Non so come spiegarlo, ma ti accorgi che l'aria è rimasta fuori, il vocio si fa più forte, ma sono solo sussurri.

Tra qualche passo entrerai nella prima stanza. Entrerai nelle Ninfee.

Il progetto decorativo risale al 1897, 30 anni prima dell'effettiva inaugurazione: Monet ha 57 anni. Ma poi il 1911: muore Alice, la sua amata moglie.

E poi 3 anni dopo perde anche Jean, il primogenito.

È il 1914, è l'anno della guerra. Ma che importa della guerra quando hai perso la famiglia?


Le due grandi stanze del museo sono ovali e questo importa solo per sapere che non ci sono spigoli né angoli, potresti camminare lungo il perimetro del muro accarezzandolo col dito, senza mai incontrare interruzioni oltre le porte.

Questo lo sai già prima di entrare: 100 mt di lunghezza di dipinti. E se pensi che ogni passo è circa 1 mt, per percorrere il giardino di pittura di Monet, puoi contare 100 passi passeggiata.I dipinti sono alti 2 mt e i muri appena un po' di più; 8 riquadri, 4 per camera ovale: finestre su un giardino acquatico.Potrei dirti in sintesi che nella prima sala ci sono 4 immagini dello stagno in 4 attimi del giorno: mattino, pieno giorno, tramonto e sera; mentre nella seconda sala, i salici accompagnano e proteggono lo stagno del dipinto.Questo in sintesi.

Ma la vera verità è che non ha senso descrivere l'immagine, perché quando sei lì dentro, quando varchi quella porta, non guardi.

Percepisci. Una vertigine.

Forse questa storia oggi è un po' più lunga, ma ho bisogno che tu mi aiuti a farti immergere in quest'opera grandiosa di Monet.

Prima di descriverti il dipinto, provo a darti le istruzioni d'immersione sensoriale:

hai delle piante in casa?

Sono certa che ce le hai.

Raccogline quante più puoi, gerani, margherite, basilico e orchidee.

Quanti più profumi possibili tu possa.

E se non hai le piante, prendi i deodoranti, le spezie e tutto ciò che sa di bosco.

Intanto che raccogli i tuoi profumi, ti spiego meglio:

Dobbiamo ricreare il sogno di Monet, il giardino. Acquatico. È il 1883: Monet ha 43 anni e si trasferisce a Giverny, in Normandia, nel Nord-Ovest della Francia.

Sai, a guardar bene la mappa, Giverny è in linea meridiana tra Barcellona e Andorra.

E ancora un po' più a Nord di Parigi. A Giverny Monet realizza il sogno del giardino: con fiori di ogni tipo e le ninfee famose.

Ha un atelier di vetro, per guardare l'acqua e l'erba mentre posa i suoi pennelli sulle tele.

È questo che vuol far rivivere a chi guarda le ninfee:

entrare nel suo sguardo e in quelle sensazioni.

I pannelli enormi di Ninfee sono forse la prima installazione-dell'arte della storia.

Perciò l'intento dei profumi è ricreare quell'odore miscellaneo d'iris, rose e tulipani, glicini, salici e campanule che sono a Giverny. Indistinti nel dettaglio, ma un tripudio floreale dove l'acqua è dominata da quei fiori a pelo d'aria che galleggiano e profumano di umido.

Torniamo al nostro piccolo rituale: prendi i fiori e i tuoi profumi. Prendi il tempo di raccoglierli.

Hai un tavolo in salotto?

Sei solo ed in silenzio?

Raggruppa i tuoi profumi su quel tavolo, fa sì che si diffondano nell'aria della stanza. Fa sì che ti ubriachino finché non li distingui. Poi bagnati le mani, accarezzati il volto e annusa i polpastrelli inumiditi.

- Spero tanto che sia notte mentre ascolti la mia voce. -

Magari fuori è muto e puoi aprire una finestra.

Comincia lentamente a passeggiare attorno al tavolo.

Un passo alla volta, un passo fino a cento.

In tondo. Cammina e respira a fondo.

È questo ciò che fai quando sei nelle sale ovali, in quel museo: io ci sono stata e ho ben impressa l'impressione.

Oscilli e non è importante quante siano le ninfee, i salici e quale l'ora esatta.

Ciò che conta è il senza tempo di una calma che non parla.

Claude Monet aveva ampliato il suo motivo originale con una nobiltà: erano tutte della stessa altezza – approssimativamente 1,80 m. Le larghezze variavano: alcune erano 4, altre 6 o 8 metri. Come ambientazione generale aveva preso più o meno ciò che la natura stessa gli offriva. In alcuni quadri lo specchio d’acqua era incorniciato da tronchi nodosi di salici piangenti, ed in altri, dove la natura non gli dava alcun motivo per limitare i bordi della tela, aveva schivato ogni artificio concentrando l’attenzione dell’osservatore sull’acqua stessa. Nessuno dei quadri era stato eseguito nella luce piena del mezzogiorno. Gli effetti erano quelli delle nebbie dell’aurora o della mezza mattinata, con una luce molto morbida e nitida, oppure del pomeriggio col tramonto, o dell’ultimo raggio di luce, del crepuscolo e della notte.

La prima sala: a ovest c'è il Soleil Couchant; è il Tramonto: un groviglio maculato di grumi che sfrigolano e scottano, fanno il rumore delle foglie secche in pieno autunno in mezzo al parco di castagni. E se li tocchi, sembrano un po' paglia e un po' fanghiglia di quando piove e l'acqua mangia terra e rami morti. Cammini qualche passo, 5 o 7, in senso orario. E trovi Les Nouages – i Nodi – a nord: qui è tutto un po' ovattato, come lana di cotone annodata aggrovigliata, come ovatta e zucchero filato. Hai mai sventrato un cuscino anni '40? Di quelli con la lana delle pecore all'interno? I batuffoli sono appena ispidi e arricciati. Ai bordi sono appena bruciacchiati, al centro soffici e leggeri.


E tu continui a passeggiare e ad est c'è Reflets verts che ha l'odore dell'ortica e del terriccio a inizio marzo e inspiri e senti un grillo in lontananza e hai pure un brivido ed un po' di pelle d'oca. E un altro passo e dopo un altro e sei già a sud: Matin. È il più delicato dei soggetti.

In alto a sinistra frondicelle come bietole bollite e sotto, a macchie come albumi d'uovo fritto, foglie larghe di ninfee ancora chiuse che si allungano fin giù al centro, ai piedi di te che sei davanti ad una nebbia di colori.

Sei mai stato nella nebbia? La senti sulle braccia e in faccia. È fastidiosa? Forse no.

Se non hai freddo e ti concentri sulla pelle, senti il limite tra il mondo ed il tuo corpo. È solo questo la tua pelle: quel confine che delimita l'esterno dall'interno di un umano.Ed eccola finita la prima sala. Sai, al centro di ciascuna delle due sale di Ninfee c'è una sorta di divano, ovale e comodo.

Ma non hai voglia di sederti quando sei lì. Non puoi startene a guardare il quadro, lì seduto.

Sarebbe come a dire che hai un sentiero e l'acqua attorno. Te ne stai seduto e fermo?

Puoi sederti se ti stanchi, ma hai bisogno di oscillare, avanti e indietro, in tondo e ancora più vicino e più lontano per godere di quell'opera che domina la stanza.


Così, gli spettatori sembrano tutti aver bevuto, un po' alticci e vacillanti, ognuno solo con se stesso in questo spazio sacro che sembra un universo parallelo. Mi ricordo bene la sensazione appena entrata: ti sembra d'essere salita su una zattera spaziale e il mondo fuori non esiste. E non capisci nulla dell'immagine perché, a dirla tutta, quelle lì son solo macchie di colore, incrostazioni e pennellate. Non c'è una vera immagine, un soggetto. Soggetto sei tu: i quadri sono attorno e ti abbracciano come fossero il tuo sfondo. Sei immerso in una musica, hai presente? Ascolti ed il protagonista non è più quella canzone, sei tu e le sensazioni, ciò che senti mentre ascolti. Così per questo quadro: che importa riconoscere l'immagine di un fiore? La vista è solo un mezzo come un altro per descrivere emozioni e sentimenti che Monet vive sul ponte dello stagno a Giverny.


Continua a passeggiare mentre ascolti.

Continua a dondolare avanti e indietro e chiudi gli occhi.

Entri nella seconda stanza ovale: qui ci sono anche dei salici assieme alle ninfee.

Sai quali sono i salici piangenti?

Che triste il loro nome.

Sono alberi i cui rami sono morbidi e cadenti.

Come una fontana solida, come i capelli lisci di una donna in là con gli anni.

Quando entri, in lontananza, c'è Les Deux Saules, uno a destra e uno a sinistra: i tronchi sottili e ruvidi, sanno di liquirizia. E scende solo qualche fronda, in mezzo solo acqua calma e quasi immobile. Cammini in senso orario e si fa l'alba, e un paio di tronchi d'altri salici più grossi e prepotenti, uno a sinistra su una duna d'erba fresca un po' di muschio. E al centro destra un altro salice corputo a fronde larghe e in primo piano abbraccia il bordo del dipinto e veglia tracce di ninfee sparse sull'acqua un po' qua e là timide: questa è Les Matin aux Saules. E poi più in là Reflets d'Arbres: tutto confuso, sembra d'aver infilato una mano in una delle matasse all'uncinetto della nonna, la lana punge e si nasconde in nodi e intrecci incomprensibili e ci sono 4 punti più brillanti sull'immagine: sono ninfee ancora aperte, le superstiti che tardano come Cenerentola che fugge via dal principe.

Due bocche in mezzo all'acqua lì dipinta.

E infine l'ultimo: Le matin clair aux saules. A guardarli bene, sono i salici corputi e prepotenti di poc'anzi. Se aspetti un po' di luce e resti calmo, fai caso che non rubano la scena alle ninfee: le abbracciano e sorvegliano che stiano ben riparate mentre gli occhi sono chiusi e vulnerabili alla notte. Due colonne, questi tronchi: e ai loro piedi (anzi: radici!) se ne stanno a 3, 2 e 4 frugoletti di ninfee a pelo d'acqua che si svegliano.

Ho ancora un paio di cose che vorrei raccontarti, se ne hai voglia.

Monet 10 anni prima di abitare a Giverny si trova a Londra: è un soldato. È in corso la guerra franco-prussiana. E a Londra incontra i quadri di un pittore, un tale Turner, chissà se lo conosci. Dipinge delicato nuvole e paesaggi … e magari te ne parlo un'altra volta. Ma il punto è che si accende quel qualcosa in Claude Monet che illumina il suo animo d'artista. E torna in patria e piano piano germoglia sempre più quel desiderio della casa in mezzo alla natura.

Racconta lo storico Gimpel.

Qui ci troviamo di fronte al muro di Claude Monet, trafitto con una grande porta verde e ci conduce attraverso i corridoi del giardino fino ad uno studio di recente costruzione, costruito come una chiesa del villaggio.Al suo interno, è solo una stanza enorme con un soffitto di vetro, e qui ci troviamo di fronte ad uno strano spettacolo artistico: una dozzina di tele disposte in cerchio sul pavimento, l’una accanto all'altra, tutte larghe circa due metri e alte un metro e venti; un panorama fatto d’acqua e ninfee, di luce e di cielo. In quell'infinità, acqua e cielo non avevano né inizio né fine. Ci parve d’essere presenti a una delle prime ore della nascita del mondo. L’insieme è misterioso, poetico, incantevolmente irreale, e dà una sensazione strana: un misto di disagio e di piacere al vedersi circondati da ogni parte dall'acqua”.

«Lavoro tutto il giorno a queste tele — rispose Monet — me le passano una dopo l’altra. Nell’atmosfera riappare un colore che avevo scoperto ieri e abbozzato su una delle tele. Immediatamente il dipinto mi viene dato e io cerco il più rapidamente possibile di fissare in modo definitivo la visione, ma di solito essa scompare velocemente per lasciare il posto a un altro colore già registrato alcuni giorni prima in un altro studio che mi viene posto quasi istantaneamente dinnanzi; e si continua così per tutta la giornata. Tornate a farmi visita all'inizio di ottobre, le giornate si accorciano e mi prendo quindici giorni di riposo».


Capisci quindi? In quelle stanze ovali ci sono tutte le stagioni e tutte le ore.

Per questo è senza tempo e spazio astratto. E non ha senso che tu abbia visto o meno la realtà, perché quello che crea l'impressionismo è un mondo un po' tradotto in sensazioni.

Erano i primi giorni del febbraio 1918 eppure era già primavera ... scrive François Thiébault-Sisson nel febbraio del 1918.

Queste 8 immagini acqua e fiori sono un'eco del giardino del pittore. Un rimbombo di un racconto sussurrato in solitudine.

Monet aveva scoperto che quando gli occhi si chiudono,

cala il sipario della Realtà

e comincia lo spettacolo dell'immaginazione e sentimento.


Nel giugno del 1926 gli viene diagnosticato un carcinoma del polmone e il 5 dicembre muore: ai funerali partecipa tutta la popolazione di Giverny.

Vorrei parlarti ancora di Monet, ma il tempo è oro e certamente avrai da vivere qualcosa in questo istante.

Però ti faccio una promessa: parlerò ancora di quest'uomo. Del suo aspetto, il suo sorriso, di come mano a mano perse un po' della sua vista e poi il miracolo e il ritorno dei colori all'improvviso.

Ti lascio con queste poche, ultime righe: le Ninfee dell'Orangerie furono donate da Monet alla Francia dopo nel 1918 come simbolo di pace. Vengono esposte all'Orangerie pochi mesi dopo la morte del pittore, il 17 maggio 1927: ci pensi?

Che peccato che non abbia potuto vedere che meraviglia ha progettato.

Sarebbe stato orgoglioso di questa Cappella Sistina dell'Impressionismo – come l'ha definita André Masson?

100 metri lineari di pittura per 2 di altezza. Tutta tela e olio non verniciato: se potessi toccarlo sentiresti le pennellate solide. E pensa che devono spolverarlo costantemente: ma Monet volle così, niente vernice fissativa. Niente cornici.

Esaudito il suo volere.

“L’illusione di un tutto senza fine, di un’onda senza orizzonte e senza rive”

secondo le parole dello stesso Monet.

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