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  • Immagine del redattoreMayra Stella M.

La Grande Jatte POIS. - G. Seurat


È domenica.

Pomeriggio.

Ora, mentre registro.

Tu che fai la domenica pomeriggio?

Cosa si fa, dopo pranzo in queste ultime ore prima che cominci la nuova settimana?

1883 – Parigi

La borghesia ha il suo rituale della domenica pomeriggio: una passeggiata sulla riva della Senna. Più precisamente sull'isola della Grande Jatte.

Ecco, c'è questo quadro di Georges Seurat, che racconta i parigini alla moda in una domenica pomeriggio, mentre si godono il sole.

Sai, ho cercato delle parole, una frase di Seurat da poter pronunciare solennemente ora, per introdurre il racconto del suo quadro.

Ma non l'ho trovata. Seurat non era un uomo di molte parole, cercando qua e la qualche sua citazione, non se ne trovano più di 4 o 5.

Un uomo di fatti e scienza più che di parole e poesia.

Alcuni dicono che vedono la poesia nei miei quadri. Io vedo solo scienza.

Ecco chi era Georges Seurat.


Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande Jatte.

Questo è il titolo per intero del quadro, di questa tela immensa alta più di 2 mt e lunga 3 mt: i personaggi ritratti qui sono praticamente in scala a grandezza naturale.

C'è tanta gente, forse una quarantina di figure. Pensa a questa tela enorme, più alta di te e larga quanto la parete di una stanza. Sai come l'ha dipinta?

Ti do un indizio: è il simbolo del puntinismo.

Ebbene: Seurat ha dipinto l'intera superficie a puntini. Punto dopo punto.

Intingeva il pennello nel colore ad olio e pizzicava la tela. Un unico tocco, senza strisciare il pennello. Un punto accanto all'altro. Per un totale di 6 mtq e mezzo di superficie.

Ci ha impiegato 2 anni per completare il quadro. E l'ironia crudele del destino ha voluto che non vedesse riconoscimenti fin tanto che fu in vita. Signac, un pittore suo contemporaneo e compagno di puntinismo, scrisse nel su diario:

la madre di Seurat è più che ansiosa a causa della sorte che toccherà ai dipinti di grande formato del figlio dopo la sua morte» «vorrebbe farne un lascito per qualche grande museo ... ma, diciamocelo, quale grande museo accetterebbe di esporli?».

Signac, purtroppo aveva avuto ragione, almeno in un primo momento: l'opera non trovò acquirenti e rimase nell'atelier di Seurat fino alla sua morte, avvenuta nel 1891.

Ma il resto te lo racconto dopo.


Ora sei davanti alla scena: tante persone. Ci sarà confusione e parlotteranno tra loro! Penserai.

No.

A dire il vero è quasi un po' inquietante: tante persone e tempo libero all'aperto.

Ma silenzio.

C'è chi pesca, chi passeggia, chi guarda il fiume e gruppetti di persone benvestite. Nella realtà tutto questo sarebbe frenetico. E invece in questa frazione di spazio, tutto è calmo.

Questo quadro è un controsenso inesistente.

Prima di tutto cattura la tua attenzione l'immagine più grande: a destra quasi al bordo del quadro, c'è una donna. Anzi, sono una coppia, accanto a lei, quasi nascosto dalla sua sagoma, c'è un signorotto. Non si tengono per mano e non si toccano, ma sono certa che stiano insieme. Sono in ombra – quasi tutti sono in ombra – e lei, la donna di profilo, ha un corpetto rigido che le costringe pancia e schiena ed è perfettamente eretta, i muscoli della schiena tesa, i glutei e il petto in fuori. La gonna lunga ed abbondante ha un'imbottitura al fondoschiena; se devo dirla tutta, mi fa sorridere. È davvero molto gonfio e se le accarezzassi la schiena, arrivata alla sua gonna, sentiresti questo angolo perfetto e retto, a 90°, di una sporgenza che sembra quasi abbia un cuscino in sottoveste. La gonna cade morbida fino a coprire i piedi che non vedo. Anzi, c'è uno strano bagliore tra il bordo della gonna e il praticello, che quasi la fa sembrar volare, come stesse levitando.

Ed ai suoi piedi, l'animale che ha al guinzaglio. No, non è un cane. E non è un gatto.

È una scimmia cappuccina. Non spicca tra i soggetti, ma quando la noti, ti fa ridere, pensare che una donna benvestita col cilindro e l'ombrellino parasole, al guinzaglio ha una scimmia.La scimmia se ne sta buona e ferma, la schiena incurvata come fosse appesa su per il culetto e con la coda un po' arricciata. Ma è tranquilla e immobile nonostante attorno a lei scorrazzi un cagnolino piccolo che sembra una pagnotta in grano duro con le zampe.

La donna ha un ombrello parasole e un cappellino con un fiore: il fiore è grande quasi quanto la sua faccia ed è sfrangiato, sembra quasi un crisantemo.

Li hai presenti?

Hanno i petali sottili e lunghi e sembra quasi che qualcuno li abbia ritagliati con le forbici.

Accanto a lei c'è un uomo, col baffo ed il cilindro e il fiore al petto. Ha un bastone sotto braccio. Ed un cappotto dritto ed elegante. E tra le dita ha un sigaro fumante.

Sono una coppia ricca o benestante.

Per questo lei ha una scimmia.

Sai, nella Parigi d'Ottocento si diffuse questa moda di addomesticare le scimmie cappuccine come fossero gattini.

Eppure i malpensanti credono che questa sia metafora maldestra per dire che la donna è una prostituta. Nel gergo del periodo, il francese singe per scimmia, indicava anche le donne di bordello.

In basso a sinistra, su questo prato corto e rigoglioso che di sicuro sa di umido di fiume e arietta fresca, c'è un gruppo: vicini e non insieme. Un uomo qui davanti, semi disteso, puntato sopra i gomiti, ha una canotta e il braccio muscoloso, i baffi ispidi e un berretto, e fuma una pipa lunga e affusolata. Chissà l'odore acre, un po' pungente che farà tossire appena la donnina accanto a lui. È una ricamatrice, ha ferri e merletti. Che bella la consistenza dei merletti: danno la sensazione della buccia del melone e quasi quasi senti anche il profumo dell'estate. Tra l'uomo con la pipa e questa donna merlettaia, alle spalle, c'è un cane senza volto, taglia media, sembra un'ombra. Ha il muso tra l'erbetta e sta annusando. Sta cercando. Chissà se ha un padrone.


Ancora qui a sinistra, a completare questo trio, c'è un ultimo signore. Seduto in terra, ha le ginocchia semiflesse e i gomiti poggiati. E tra le mani un bastone da passeggio. Il completo elegante e non so come non gli dia fastidio in quella posizione rannicchiata: immagino che gli tiri un po' sui gomiti e le spalle; ed anche i pantaloni non devono esser comodi. Ha baffi ed un cilindro. E non ha volto, neanche lui.

Ma guarda il fiume e forse pensa.

Alzando un po' lo sguardo, qui a sinistra, proprio al bordo della Senna, c'è una donna in piedi: sta pescando. Un'altra sua gemella è seduta ai piedi e guarda. Si pensa che ci sia un'altra allusione in questa donna. O forse già Seurat l'ha rivelato. Pescare in francese si pronuncia pêcher e suona quasi uguale a péché che invece significa peccare.

La donna peccatrice è forse qui nel parco alla ricerca di un buon uomo da pescare?

Una pescatrice di uomini. Una adescatrice.

È la seconda in questa scena.

Appena dietro le sorelle pescatrici, c'è un albero dal tronco storto e chioma folta, alla cui ombra c'è una coppia : un'infermiera di spalle : lo si capisce dal cappello e da una lunga fascia avvolta che le scivola sulla schiena e tocca terra. Sembra un cumulo geometrico, di quelle forme in legno con cui giocano i bambini di montagna. Cubo, sfera, cilindro. Legno laccato che non punge e puzza un po' di vernice e smalto. Ed è pesante.

E poi c'è un uomo accanto all'infermiera geometria. Ha lui l'ombrello e spalle curve.

E sono sempre tutti muti e senza volto.

Si sentirebbe appena il fruscio degli alberi e dell'acqua. E proprio questo, che ti fa capire che non sei tu il sordo, fa paura e un po' ti estranea, capendo che son muti i personaggi.

C'è perfino un trombettista. Eppure è immobile e statuario. Sono certa che non suoni la sua tromba. Che sia lì, la tromba dritta e guarda al cielo.

Al centro della tela, l'unica coppia che dà cenno al movimento è una bambina con sua mamma. Sono entrambe illuminate, la bambina un po' di più.

Sono frontali e stanno camminando verso te che guardi e aspetti. Hanno la leggerezza di un fantasma. La bambina ha un vestitino estivo smanicato e un cappellino tondo. Non è timida, appena un passo avanti alla sua mamma, fiera e attenta. Ha quel corpicino tondo dei bambini a 4 anni, un po' paffuta, delicata come una bambolina in porcellana.

Sai la porcellana senza lucido?

La tocchi e sembra quasi vellutata, ma non è morbida come la pesca. Ecco, è un po' come il guscio di un uovo. E percepisci la stessa fragilità che se ti cade è una frittata pasticciona. Così quella bambina, che temi inciampi tra l'erbetta e rami secchi e se poi cade piange e si rialza ed è tutto passato.

Sua mamma è in piedi e veglia, ma non la tocca e non la guida.

Lascia fare.

E in basso, appena avanti, sulla traiettoria della bimba, sedute all'ombra altre due dame. Una ha il cappello ed un ombrello e mostra solo la sua nuca. Accanto a lei, ben di profilo, una ragazza giovane, direi adolescente, ha i capelli lisci e sottili, legati in una coda e un gran bel fiocco. Ha le mani come giunte in preghiera e un mazzolino di fiori piccoli e li guarda, come fossero il suo cucciolo. Sembra assorta nei pensieri e un po' sorride ed io la invidio perché desidero quella spensieratezza che si posa tra le foglie del bouquet.


Leggero è la parola giusta per la tecnica che rende questo quadro così etereo.

Immagina di dover riempire un foglio di puntini.

Senza lasciar spazio e senza miscelare quei ciuffetti di colore.

Hai idea di quanto tempo impiegheresti?

La cosa divertente è che chi guarda il quadro distante qualche passo, non riconosce i ciuffi di colore. Appare tutto come fosse superficie unica, uniforme.

E questo perché gli occhi non sono poi così vispi: immaginano e ci illudono. Miscelano il colore e tre puntini li reinterpretano come fosse una singola lineetta.

È solo il tatto, veritiero.

Perché se chiudessi gli occhi e accarezzassi il puntinismo, sentiresti tanti bottoncini, sassolini. Come i ciuffi della panna sulla torta di compleanno. Come un puzzle o un mosaico. Ogni piccolo tassello ha vita propria ed è importante e calcolato.

E ciò che da vicino sembra un cumulo disordinato di puntini, con qualche passo indietro, man mano che ne prendi le distanze, acquista un senso.

Come i giorni, i mesi e gli anni.

Se guardi ieri e oggi, sembra tutto un po' confuso.

Ma ripensando agli anni indietro, allora capisci che la distanza è il gran segreto della vita.

La pazienza è l'arma giusta per combattere la fretta.

Ed io lo dico e non so farlo.

Chissà Seurat cosa pensava mentre era lì che punzecchiava quella tela.

Quant'è costata la pazienza di un pittore che non ha vissuto a lungo abbastanza da scoprire la distanza necessaria al suo successo.


Seurat è morto a 31 anni di meningite. Era il 1891, il 29 marzo.

Questo quadro è stato valutato ed acquistato solo nel 1924, dall'Istituto d'Arte di Chicago.

È ancora lì. È valso 24mila dollari, che oggi sono 320mila euro.


A sinistra si prolunga la Senna, fino a quasi la cima del quadro. La superficie del fiume sembra increspata come la pellicola di plastica per alimentari. Ma sembra avere anche un suono, come campanelli, o come quando versi l'acqua in un bicchiere. Ci sono delle barchette sparse qua e là. Galleggiano come la tua mano se la lasci morbida sul pelo dell'acqua, che tu sia al mare o nella vasca da bagno. Una è lunga ed è la buccia di una fetta di melone. Ci sono 4 ragazzi su, ed una ragazza con l'ombrellino. E poi più in là un'altra simile con una bandiera della Francia. Non importa quali siano le forme ed i colori della bandiera. Conta il suo significato. È il simbolo di una nazione alla quale il pittore è felice di appartenere. Come a dire Hey, io sto con loro.

E in fondo al quadro, l'acqua della Senna sembra riversarsi tra gli alberi del parchetto sulle sponde. Tanti alberi, sempre più fitti a destra. E qualche altra coppia o ragazzina qua e là, sparsa come una manciata di mandorle lanciata sulla tovaglia. Silenziose come mandorle, queste persone che ci sono con il corpo e senza anima né volto.

Sono come manichini. Quelli di negozi, sai?

Lo so che ci hai provato anche tu a toccarli.

Almeno una volta, almeno uno.

Una persona finta: ha gambe e non cammina, ha gli occhi ma non vede, orecchie, ma non sente. Ha gli abiti più belli e più costosi e non ne gode.

È in vetrina e tutti si fermano a guardare la sua perfezione e tu vuoi la sua forma ed il suo aspetto. E forse lei vorrebbe la tua anima.

Eppure in tutta quella plastica non sa cosa si perde. Mi dispiace.

Ho sempre creduto, in fondo al cuore, che le bambole in realtà avessero un'anima e la bocca ingiustamente sigillata. Quando ero piccola, cercavo di ascoltarle nel silenzio.

Speravo che esistesse la telepatia. Speravo che quell'anima parlasse senza voce.

E mi veniva più facile pensare che ero io quella sorda piuttosto che le bambole senz'anima.

Questi fantocci dipinti hanno avuto un'anima e la voce.

E se ascolti bene il quadro, puoi sentirle ancora oggi. Il mormorio dell'erba e il venticello.

Un sottile cinguettio, il grillo e i passi sopra i rami scricchiolanti.

È un grande scricchiolio di puntini, questo quadro.

Sai? Seurat non avrebbe mai potuto dipingerlo all'aperto, quindi ha fatto per ogni personaggio, ogni frammento della scena, un bozzetto. Sono circa 60 i bozzetti: ogni giorno andava lì, ritraeva un pezzettino su di un album.

E poi quando tornava in studio, replicava tutto puntinando.

Ha calcolato ogni singolo puntino di colore.

Come ha osservato ogni singolo abitante della tela.

Ogni giorno.

In questa domenica pomeriggio c'è l'insieme di due anni.

Come quando dici un sacchetto di lenticchie. Ma ogni singola lenticchia ha sua entità. E solo la costanza e la pazienza, nell'insieme fanno il sacco.

Ed è grazie all'insieme che riusciamo a far la sintesi di cose frammentarie.


Questo quadro dipinto tra il 1883 e il 1885 è stato esposto per la prima volta al Salone degli Artisti indipendenti, un movimento fondato da Seurat. E vive a Chicago dal 1924.

Ad oggi sono quasi 100 anni, meno 4.

L'isola della Grande Jatte esiste ancora e c'è anche un parco. Chissà se sulle sponde, una domenica qualunque, qualcuno pesca ancora.

Se le persone parlano e se qualcuno fa una foto al panorama.

Che in fondo anche quei pixel elettronici sono solo punti di colore che ritraggono le sagome di gente che non parla e cerca ancora la propria identità.

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