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Immagine del redattoreMayra Stella M.

GIOCONDA SENZA LABBRA - L. Da Vinci

Aggiornamento: 1 ago 2020

Sapete chi è la donna più famosa di tutti i tempi? Pensateci un attimo.

Si chiama Lisa.

Lisa Gherardini.


O forse no?

Una donna alla finestra, composta, pacata. Gioconda.

Lisa. Monna Lisa.


Mentre la ritraeva, c’era gente che cantava e suonava, e buffoni che la facevano restare allegra, per ridurre quella malinconia che si suole avere nella pittura di un ritratto. La Gioconda è, e rimane, il grande segreto di Leonardo. Certa è solo una cosa: non si trattò di un ritratto su commissione, perché l’autore, dopo avervi penato quattro anni, lo portò via con sé “ancora imperfetto” – come precisa il Vasari – per non separarsene mai. Giorgio Vasari, a proposito della Gioconda

Giorgio Vasari fu un famosissimo storiografo (e non solo) di inizio Cinquecento, nato – pensate un po' – solo cinque anni prima del buon Leonardo. Che poi buono … chissà se lo fu davvero.

Ad ogni modo: introdurre Monna Lisa non è semplice. Tutti subito a parlar del suo sorriso: troppo facile. A che serve descrivere un sorriso che puoi vedere coi tuoi occhi?

Ogni sorriso è diverso. E non ha bisogno di due labbra, per esistere.

Cos'è un sorriso?

L'esplosione di qualcosa. Spiegare quel qualcosa è l'ardua sfida: sorridono gli occhi, il cuore, l'anima. Il sorriso è universale eppur segreto.

La Gioconda sorride, è vero: ma non lasciatevi ingannare. Il suo sorriso non è ipnotico, non è speciale. Non più di quello che ciascuno, in cuor sereno, può sentire.


Questa descrizione di Vasari mi è sempre molto piaciuta perché racconta il sorriso. Prima ancora della donna, esiste un prima. Cosa c'era mentre Leonardo posizionava pennelli e cavalletto?

C'era gente, musica e buffoni, allegria. E forse non è vero, ma che importa?

Quel che conta è che la donna – la Gioconda – riflette questo clima d'allegria composta e moderata. Un sorriso trattenuto, un po' nascosto.

Lo so che in questo istante state inarcando le labbra, per provare se anche voi, in fondo al cuore, siate ancora un po' giocondi.

La risposta è sì. Quando arriva quella mano sulla fronte.

Quando arriva quell'odore del caffè.

Quando piove e fa rumore, l'odore della pioggia.

Quando esce. Quel sospiro di sollievo per qualcosa che è accaduto.

Quel sorriso. È la Gioconda.

Quel sorriso che esplode tutto e chi lo guarda non lo sa, perché due labbra sigillate sono un po' due occhi chiusi, che racchiudono una vita, enigmatica e composta che arde fuori dai racconti. E finisce lì dove nessuno può scoprirla: un sorriso è una smorfia veritiera o un po' bugiarda, che nasconde o che rivela, molto più di un paio di labbra.

Che poi, a dirla tutta, Monna Lisa non le ha neppure, un paio di labbra.


Avevo bisogno di scaldare un po' la voce e le vostre orecchie, per entrare a buon diritto in quella stanza di Leonardo, dove un uomo – e non un genio – ha davanti una tavola di legno ed una donna. Perché Leonardo non dipingeva sapendo di essere un genio.


Una tavola di legno di pioppo: verticale – e neanche troppo – 77 cm di altezza per 53 di larghezza. Quasi un braccio per una coscia.

Piccoletto: non sarebbe una finestra. E quel volto tondo di donna ha le dimensioni della testa di un bambino.

Sapete, il quadro è al Louvre, a Parigi. E se non lo avete visto o non lo vedrete mai, non è granché importante.

È sotto vetro, il quadro. Appeso in alto. Sai che è lì, ma non lo vedi davvero. Lo vedi con gli occhi del ricordo di quando lo hai studiato. C'è sempre tanta gente attorno, in quella stanza. Ed anche una distanza, da rispettare.


C'è una donna, il viso tondo. Una sfera morbida e liscia. Sembra fatta di gomma piuma ripiena di farina: la superficie vellutata, un po' gommata, piena e patinata. Se ci appoggi le dita, su quelle guance, sembrano restarci due buchi polpastrelli.

Come nell'impasto della pizza, farinoso, pesante e sodo. L'avete mai sentito l'odore di lievito e farina? Sa di mollica di pane vecchio. Ma più umido.Come la pasta fatta in casa.

Ne mangiavo sempre un po', cruda, rubata dalle mani della nonna.

Gommosa. La pasta, non la nonna.


Così le guance della Monna, Lisa, fatte di pane gommoso e dolciastro.

Senza labbra, una fessura orizzontale, la bocca, distesa. Un sorriso? Un ghigno?

Non lo sapremo mai, ma se provate a ripensare al bagno caldo, alle coperte e l'imbarazzo di qualcuno che vi osserva: è quello. Un sorriso, una smorfia.


Gli occhi scuri, nocciolati, sanno di gelato al cappuccino, tondi. Non ha le sopracciglia, ma le arcate sono gonfie, sporgenti. E un po' di borse da stanchezza. Dicono che guardi chi la guarda, sapete, come se muovesse i suoi occhi di pittura: ma in realtà non guarda nessuno. Guarda nel vuoto, sovrappensiero. Vi immaginate seduti immobili mentre qualcuno vi ritrae, lì per ore? Si perde nei pensieri e guarda fisso senza vedere. Sta pensando.

Tu chi guardi, quando pensi?


Cosa pensa lei, non lo sapremo mai.


Sì, è seduta, la Gioconda, rivolta versa sinistra, il volto appena ruota verso te che guardi il quadro. Il naso è lungo, la fronte spaziosa, più del palmo di una mano.I capelli molto lunghi, poche onde. Attaccati al cranio, scriminati al centro. Pochi.

Coperti da un velo leggero, come quello delle spose o delle vedove. Le cade sulle spalle, spioventi, rilassate. Come arrese. Il collo fiero, quando non hai nulla da vergognarti.

Il petto è gonfio: trattiene il respiro? La pelle morbida, anche questa un po' di pane.

Il gomito sinistro poggiato sul bracciolo di una sedia. La mano agganciata al quel bracciolo. L'avambraccio parallelo al bordo, sembra essere poggiato sulla cornice.

Maniche lunghe di velluto ocra. Più lucida, la stoffa, della pelle farinosa.

Le mani paffute e grandi quanto mezza faccia, non hanno unghie. La mano destra custodisce il polso sinistro, in quella posizione che ha la mano sotto una fontana per raccoglier l'acqua, ma con le dita dischiuse. Appena.

Sembrano posate in grembo, ma forse non lo sono. Sono grandi, però: occupano la stessa superficie della faccia.

Sembra aver più strati di vestiti e pesanti. Ed una stola, che sta per scivolarle sul quel gomito poggiato. Le maniche attillate e fortemente pieghettate: vibra il polpastrello, se le tocchi. Solletico. Una donna tornita, morbida. Pesante. Pesante senza gioielli, se si alzasse sarebbe silenziosa nella stoffa.


Ma sapete cosa è bello?

Che non ci sia cornice di finestra a scontornare la modella: come fosse seduta su un balcone senza parapetto, così in bilico sul vuoto.

Sarà per questo che il sorriso è un po' nervoso?


Alle sue spalle un paesaggio. Lacustre.

Oltre le sue spalle, terrastra rossiccia ed una strada, piccola e tortuosa. Costeggia un rivoletto tra le colline toscane. Dicono sia un affluente dell'Arno, laddove visse e crebbe Leonardo.

Disseminato di rupi e colline e montagne elevate. Serpeggiante quell'acqua, oltre il parapetto, e a destra un ponte, minuscolo.

L'acqua incornicia il suo testone. E tutto sa di umidità.

Nebbia, quella che se ci cammini in mezzo, i pomeriggi di novembre, ti si appiccica in faccia e tra i capelli. Senti l'umido che avvolge il tuo respiro. E un po' ti senti sporco, come le ciocche dei capelli non lavati qualche giorno.


Non ci sono punti luce, tutto è morbido, soffuso e un po' muto.

Non fa caldo.

Niente brilla.

Forse è davvero novembre.

Immobile.

Come la bocca di questa dama silenziosa.

E forse sarà per questo che Napoleone Bonaparte la volle in camera da letto, appeso – il quadro – al capezzale.

Fu di tanti, la Gioconda. E tante e più furono le ipotesi aleggianti attorno alla sua identità: fu Madre di Leonardo, Caterina; amata, moglie del Giocondo, ed anche volto stesso del pittore. Fu perfino trafugata e restituita dopo tanto, a quella Francia dov'è ora.


Ma che importa chi fu lei?


Un quadro grande come un'anta della dispensa, appeso in alto e sotto vetro. E tanta gente attorno. Non conta vederlo, quanto esser lì davanti, consapevoli che quella tavola di pioppo è nata più di cinquecento anni fa. È percepirla, la vera esperienza. E sapere che è lì, davanti a te pur non vedendola. Un po' un pellegrinaggio, come in chiesa. Non vedi mica Dio, ma se lo vuoi, se davvero vuoi vederlo, non saranno un paio di occhi a fare la differenza. È ciò che senti, ciò che vuoi sentire.


Si possono scrivere pagine e pagine di descrizione del sorriso della Gioconda, ma il sorriso stesso quale è stato dipinto da Leonardo non potrà mai essere tradotto in parole.

Queste le parole di Erich Fromm: psicologo, sociologo e filosofo.

Ma io non son d'accordo. Perché ogni immagine ha una voce.Il mondo ha cinque sensi.

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