GIALLO ROSSO BLU - V. Kandinskij
Aggiornamento: 1 ago 2020
Che poi, cos'è un quadro?
Un foglio di carta, una tela, qualcosa. E su, ci sono soltanto chiazze colorate e dei segni, a matita e a penna. In fondo il punto è trasmettere. Coinvolgere. Stupire.
Come la musica: astratta; astrarre.
Sapete da dove viene la parola astratto? Dal verbo astrarre. Sì, gran bella scoperta.
Ma astrarre si compone di ab + tràhere = trarre via da qualcosa. Che sfugge via da qualcosa: un prigioniero liberato?
L'Astrattismo, i quadri astratti, si allontanano dal mondo conosciuto, dalla realtà “normale”, ordinaria. L'Astrattismo sfugge ai vincoli che hanno legato gli occhi fino a quel momento. La vista si fa da parte e si mette al servizio delle sensazioni: i quadri astratti ambiscono alla musica. Si sforzano di pervadere le emozioni in una maniera più libera dalle forme e dai colori. I quadri astratti non li guardi davvero, non li guardi con gli occhi.
Come una persona che impari a conoscere e ad amare: finisce che non guardi più alla sua forma, ma alla sua essenza.
Forse siamo tutti un po' astratti. E se non lo siamo, nel più profondo di noi, vorremmo esserlo.In fondo anche Dio è astratto. Come la musica.
E Kandinskij lo aveva capito.
Kandiskij fu uno dei massimi esponenti dell'Arte Astratta e potremmo dire il primo tra tutti, in realtà. E forse ai più, potrà sembrare banale e senza senso descrivere un quadro astratto: cosa descrivi? Macchie di colore? Segni?
Beh, sì.
Voglio descrivere cosa quei quadri trasmettono. Voglio raccontarti come ballano i colori su quelle superfici. Ed ho scelto Giallo Rosso Blu: un quadro che come titolo ha il nome dei colori protagonisti. Anche se alla fine, non hanno importanza i colori.
È strano questo titolo, sai? Perché Kandiskij ha quasi sempre intitolato le sue opere con categorie musicali: impressioni, improvvisazioni e composizioni.
Questa tela è lunga 2 mt ed alta 128 cm: il che significa che è più bassa di te.
Colori ad olio su questa tela: hai presente quanto è forte l'odore? È quasi solido, lo senti entrare nel naso come un disinfettante, ma più plastico.
Il quadro nel complesso è un violino mentre piove. Un sentimento intimo: sei seduto di fronte a quella che sai essere una finestra, senti la pioggia che bussa al vetro. E percepisci l'umido di fuori. L'acqua canta su un violino che si contorce sinuoso come un gatto quando lo accarezzi e la sua lunga coda si attorciglia al braccio tuo.
Il quadro è come diviso in due sezioni: gruppi di forme e colori schierati a destra e sinistra.
Destra, angolo più in basso: accanto al bordo quattro righe orizzontali. Quattro bastoncini spessi ed ordinati, come fossero tagliati nella tela. Accanto due bacchette, sembrano lancette d'orologio che si agitano: se avessi due bacchetti giapponesi in mano ed agitassi il polso in su e in giù … quello sarebbe il movimento disegnato da Kandinskij.
E accanto ancora, un cerchio nero pieno e tondo. Profondo e pesante: se lo prendessi in mano, forse non ce la faresti a sollevarlo. Sembra emanare delle onde, percussioni, suoni sordi di una palla di metallo che cade su un materasso di velluto: un suono muto.
Appena in alto, obliqua che protegge righe e palla, un nastro sinuoso, anche questo è di velluto, pesante ed ondeggiante: sembra disegnare un profilo. Non capisco se il profilo è di un violino o un volto umano: ha ben tre nasi e nasce piano dal centro della base della tela per poi salire, tutta curve, verso destra ambendo all'angolo più in alto e terminando con una gran curva più grande del bracciolo di un divano. Ed accompagna il tondo di un cerchio in alto a destra, molto grande e sottoposto ad altre macchie.
Questo grande cerchio che prende quasi un quarto della tela è liscio e sottile, come il pian di un tavolino di cristallo e sopra carte e fogli e stoffe.
Ritagli di fogli leggeri, squadrati: li senti fragili che se li prendi in mano, svolazzano e si strappano. Trasparenti, dice la gente vede. Leggerezza è il suo corrispettivo traduzione. Come petali di fiori delicati.
Ad un tratto non sai più se quell'odore è olio di pittura o sottobosco umido. Mi piace andare al cimitero: e no, non è una roba triste.
Ti dico un segreto: passeggiare per un cimitero lo preferisco di gran lunga ad un museo. E pure al bosco. Cammino in un silenzio rispettoso, e solo i passi suonano composti. Faccio finta di riflettere, ma in realtà non penso a niente. Tu riesci a far star zitta la tua testa?
Io neppure quando dormo.
Ma al cimitero sì. L'odore delle piante e degli incensi, i ceri e tutte le candele riempiono la testa e coprono i pensieri. E per una volta almeno, mi concentro su me stessa corporale: sugli odori, i suoni, il tatto di quell'umido di polvere un po' sacra e ancora viva, ma dormiente.
E non è triste: è solo calma.
Scacchiere sparse. Sembrano fluttuare su quel cerchio, oltre il nastro di velluto, al centro della tela. Hai mai preso in mano un cubo di Rubik? Un cubo di plastica, scomposto in tanti quadrottini. E un'altra fascia semirigida tra i fogli svolazzanti e un'altra ancora in lontananza: le bacchette magiche dei maghi che si agitano tagliando l'aria e la tela.
Sapete i direttori d'orchestra?
Questi uomini eleganti che impugnano una bacchetta magica e stanno lì, davanti agli strumenti musicali che si servono di uomini, persone, che li scuotano e li pizzichino. E magia: viene fuori quel concerto. Il mago in frak – il direttore – muove e agita la bacchetta in movimenti astratti e viene fuori questa musica che, solida, ti entra nelle orecchie.
Composizioni architettate, ma libere dalla trappola della riproduzione.
sentivo a volte il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano: era un’esperienza misteriosa; sorpresa nella misteriosa cucina di un alchimista
Un chiacchiericcio confuso e leggero. Così lo definisce Kandinskij: elegante.
Contrario allo stereotipo dell'artista caotico, diceva di sé stesso che avrebbe potuto dipingere in abito da sera senza sporcarsi: amabile e autorevole. Un direttore d'orchestra.
Che in fondo era il suo scopo: la pittura deve essere sempre più simile alla musica e i colori assimilarsi quanto più possibile ai suoni.
Kandinskij, sai? Ci sto provando anch'io a dare un suono ai colori ed alle immagini una voce. Saremmo stati amici.
A sinistra della tela, un insieme di linee e forme tenui e luminose, che sanno di pane fresco e margherite. Non so spiegare bene perché, ma nonostante l'astrazione, gli occhi cercano un riferimento solido esistente: ed ecco un gatto. A destra suona quel violino ed a sinistra un gatto, il muso tondo senza corpo, un occhio piccolo e profondo e peli lunghi come baffi, aculei morbidi che spuntano come fossero spine di cactus, attorno al semicerchio che delinea il suo profilo. Senti quanto è acuta questa immagine?
Sembra il miagolio sottile, come corde di violino e tutto torna: il suono a destra, il miao, la pioggia come spilli e le bacchette. In alto al centro ancora un cerchio, come uno specchio tondo, acceso. Ma non riflette alcuna immagine: è grigio tubo, di quei tubi di metallo, acciaio e ferro, freddo e cavo che se gli dai una schicchera ti fai male e suona male.
Forse mi sto dilungando tanto, ma ci tengo a raccontarti le ricerche di Kandinskij sui colori: ne ha fatto un po' un dizionario. Ed ha tradotto tutto in sensazioni.
Sei curioso di sapere il suono e il tatto di queste parole che sembrano così ordinarie e imprescindibili e invece sono solo un'abitudine degli occhi?
Giallo: vitale, eccitazione che ti svegli e vuoi saltare. È il suono di una tromba.Azzurro: distante, indifferente. Pensi, e forse sei un po' solo. Flauto.
Rosso: caldo, intenso come il giallo, ma più profondo, più meditativo. Tanto più quanto più scuro è il suo tono. E ha questo suono di una tuba, costante.
Arancio: energico, agitato, sempre tutto in movimento e suona come una campana la domenica mattina. Oppure ha il suono di un contralto, brillante.
Viola: instabile e nostalgico, di pioggia. Una zampogna, che poi sa un po' di cornamusa dell'Irlanda e della Scozia.
Verde: che va a braccetto col viola cornamusa, perché appaga e acquieta come i pomeriggi di un autunno con la pioggia, un po' noioso e compiaciuto, il verde, suona di violino capriccioso.
Blu: è talvolta violoncello, simile ma molto più drammatico e profondo, senti il freddo e un vuoto al petto. Talvolta invece è organo, di un vento di mare lontano.
Marrone: duro e fermo, come un tronco in legno duro, che sia fradicio o essiccato, gracchia. E puzza di bruciato.
Grigio: statico e stanco, tu sul letto, senza forze. Una campana tibetana grave e stanca di suonare.
Nero: è vuoto, in silenzio, prima di dormire solo. Non sai niente e non vuoi niente: solo esisti, respirando senza respirare a fondo.
Bianco: è muto anche questo colore. Bianco è fresco e senza suoni, ma non come il nero, non muto vuoto. È solo silenzioso, ecco, non è muto! Il silenzio di chi pensa e sospira, del primo giorno di ogni anno, il primo di giorno che esci di casa a braccia scoperte: te lo ricordi? Arriva ogni anno quel giorno che finalmente è estate e fa bel tempo e tu puoi uscire con le braccia al vento.
In fondo, in quest'arte di Kandinskij ogni suo quadro è un po' una melodia che ognuno, in una libertà interiore, può sentire in modo unico. E io ci provo, a raccontarvi coi miei occhi, sensazioni e un po' ricordi.
Vorrei chiudere il racconto con la bocca del pittore che per la prima volta scopre l'astrattismo. L'intuizione, com'è andata, quella volta che ha scoperto di esser sempre stato cieco.
Molto più tardi, a Monaco, rimasi colpito da uno spettacolo inatteso, proprio quando stavo tornando nel mio studio. Il sole tramontava; tornavo dopo aver disegnato ed ero ancora tutto immerso nel mio lavoro, quando aprendo la porta dello studio, vidi dinanzi a me un quadro indescrivibilmente bello. All'inizio rimasi sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile nel suo contenuto, e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto capovolto. Il giorno dopo tentai, alla luce del sole, di risuscitare la stessa impressione, ma non mi riuscì. Benché il quadro fosse ugualmente capovolto, distinguevo gli oggetti, e mancava quella luce sottile del tramonto. Quel giorno, però, mi fu perfettamente chiaro che l'oggetto non aveva posto, anzi era dannoso ai miei quadri.
Le parole di Kandiskij, che fu definito dai suoi contemporanei, Il Grande Principe dello Spirito.
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