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Immagine del redattoreMayra Stella M.

Falchi NOTTAMBULI - E. Hopper

Ho dipinto, forse senza saperlo, la solitudine di una grande città.

Nottambuli.Questo è il titolo del quadro che voglio raccontarti oggi.

Anzi: vuoi sapere la verità?

Il titolo del quadro non è questo; il vero titolo, quello che Edward ha scelto è Night Hawks, i Falchi Notturni.

C'è una lettera scritta da Josephine, la moglie di Edward, indirizzata alla sorella del pittore, Marion, dove scrive:

“Ed ha appena completato un’immagine molto bella — un locale per mangiare di notte con 3 figure. Night Hawks sarebbe un nome adatto. È stato lo stesso Edward a posare per i 2 uomini grazie ad uno specchio, ed io (ho posato) per la ragazza. Ci ha lavorato un mese e mezzo”.

Edward Hopper è un pittore americano, dicono del Realismo Americano; di solito realismo è un termine per definire quanto le immagini dipinte siano fedeli alla realtà fisica. Ed è vero anche nel caso di Hopper: nei suoi quadri riconosciamo ogni oggetto, ogni figura o persona. Ma Hopper è un realista ancora oltre: lui non ricopia e basta la realtà, lui dipinge, ritrae la realtà oltre le immagini.

“Ho dipinto la solitudine di una grande città”, dice. È vero: lui ti tira dentro la vita del quadro, ritrae sentimenti reali, come se ti dipingesse un ambiente attorno e tu all'improvviso assorbi l'aria di quello spazio, di quella stanza o quella strada che lui ha creato; ritrae un mondo fisico, sì.

Ma anche e soprattutto meta-fisico.


La tela è lunga 1.44 mt: tre lunghi passi. È alta appena più di 72 cm, dalla cima della tua testa al tuo ombelico.

Dai, tira il dito dalla tua fronte e fallo scorrere fino giù alla pancia: ridisègnati il profilo, fronte naso labbra gola petto, sterno stomaco e poi pancia.

C'è un pub di vetro in un angolo buio della città e dentro, tutto illuminato, tre clienti ed il gestore. Questo in sintesi.

Per due terzi della tela, in lungo da sinistra a più del centro, c'è una vetrina, il pub.

È totalmente trasparente, un muro inesistente che blocca il rumore, i suoni, le voci, ma posso spiare cosa accade dentro.

E spio una scena muta.E no, non perché il vetro blocchi i suoni, ma le persone sedute in questo pub sono in silenzio, ognuna sola con sé stessa in mezzo agli altri.

Tu sei davanti al suo quadro e quella tela sembra abbracciarti e ne diventi protagonista, sei lì dentro: il quadro è il tuo set. Magia: provi sensazioni di quella storia che Hopper sta raccontando.

Pensi che si possa fare un ritratto di un sentimento?

Non il ritratto di una persona che prova un sentimento, solo di un sentimento.Il ritratto di un sentimento che significa: ti trasmetto quella sensazione, faccio sì che tu riesca a provare quella sensazione che ho in mente io. Telepatia, quasi.

Il Pittore che sapeva dipingere il Silenzio, lo chiamano. Il silenzio ha una forma, un profumo e un suono. Non è vero?

È notte: notte fonda, fuori è buio e vuoto.Io che sto davanti al quadro, a dire il vero mi sento dentro il quadro.

La sensazione è questa: sono in mezzo alla strada, nel cuore della notte.

Passeggio per le strade di una città che dorme: non so perché sono sola a quest'ora.

Non mi ricordo quando sono uscita; sento il freddo umidiccio addosso.

È tutto spento, tutto chiuso.

All'improvviso mi fermo, girando un angolo ho visto tanta luce e questa vetrina enorme: un pub ancora aperto, sull'insegna c'è scritto PHILLIES ed un sigaro disegnato, molto illuminato e dentro c'è gente. Poca.

Sono ferma davanti alla vetrina di persone, come fossero pesci in un acquario.

La vetrina non arriva fino ai piedi, in terra, ma c'è una base in legno: il legno sarà umido e sbeccato a toccarlo. Intarsiato come una di quelle credenze vecchie della nonna.

Il vetro parte dall'altezza del ginocchio o forse meno e si allunga in verticale, fino al bordo della tela.

All'interno, oltre il vetro, c'è un bancone, anche quello in legno, lungo e decorato: puzza un po' di birra fermentata, quella che trabocca dai boccali e nutre il legno. Non pensi che l'odore della birra rancida assomigli al pane andato a male?

Al pane inumidito di un hamburger che hai mangiato a metà, dimenticando i resti sul tavolo in cucina e il giorno dopo puzza acido.

Tutt'attorno gli sgabelli classici da pub, tondi e duri che ti fanno venire mal di schiena.

Ne conto sette, ma uno è occupato, il penultimo a sinistra.

Il bancone segue la forma del pub triangolare ad angolo, sembra appuntito, questo pub, come una prua. Sì! Sembra il muso di una nave: ecco, se hai una nave in miniatura, puoi capire la forma taglia-vento ritratta qui.

Ma sai?

Edward da bambino aveva già talento a disegnare.

I suoi genitori avevano notato questa dote: dicevano che il bambino avesse preferenza per disegnare le navi. Chissà se ci ha pensato, quando ha dipinto anche questa tela.

Sullo sgabello occupato c'è un uomo distinto, elegante, in completo scuro e cappello in feltro. E di spalle - non posso vedergli la faccia - ma ha le spalle ricurve e fissa il bicchiere, il boccale tra le sue braccia. Non so se è affranto, triste o solo stanco e pensieroso. Non sembra preoccuparsi che sia notte, e prima o poi dovrà andar via dal pub.

Non sembra aver coscienza neppure del barista o delle altre due persone sedute lì davanti a lui.

Sono una coppia, un lui e una lei.

Il Lui è gemello speculare dell'uomo afflitto ricurvo di spalle. Questo Lui, di tre quarti rivolto alla vetrina, guarda il barista.

Anzi: guarda nel vuoto con la faccia verso il barista che lo guarda a sua volta.

Questo Lui-cliente è in giacca e cravatta con cappello come l'altro. Abito pesante, proteso in avanti, i gomiti sul bancone, ma non è incurvato, la schiena dritta.

Sai, Hopper aveva diversi quadernetti di studi per i quadri, schizzi e disegni: molti studi erano specifici sulla postura dei corpi.

Quest'uomo con la schiena rigida ha una sigaretta tra le dita: il volto è ossuto e spigoloso, sembra fatto di legno, liscio, levigato come una marionetta, di quelle che accompagnano i burattinai.Il naso a punta, a becco.

Becco di falco. Notturno.

La bocca è un taglio orizzontale e perpendicolare al naso. Lo zigomo sporge netto.

E lucido: sì, sembra davvero un pupazzo.

Accanto a lui, la sua compagna, credo. In fondo non si guardano né si parlano.

Sono uno accanto all'altro, come due burattini senz'anima, posizionati lì, ordinati e composti.

La donna ha i capelli mossi e la pelle morbida, i gomiti sul bancone, le braccia conserte; anzi no, solo uno: un braccio conserto e l'altro regge una scatolina. Lei la fissa, ha le palpebre abbassate, sembra cieca. Il naso a punta come l'altro.

Sono due becchi di falco.Il suo vestito è caldo e semirigido.

Beh, vestito: in verità vedo solo uno scollo e manichine. Non so se sia davvero un vestito o una maglietta, ma mi sembra troppo composta, questa donna anni '40, per avere una maglietta. Avrà un vestito, un tubino di sicuro. È del colore del fuoco, caldo uguale. Ed anche i suoi capelli sono accesi di fiamme tenui e ondulate, accompagnate dietro le sue spalle. I capelli ordinati come una cascata di tende. Se tocchi le tende, scendono morbide e dritte, accarezzano la forma di qualunque cosa le attraversi. Gli occhi di entrambi sono vuoti, due buchi che posso infilarci le dita. Sono finti. Fantocci.

È vivo solo il barista: affaccendato e stanco, contrae la faccia come quando non capisci, senti i muscoli della fronte, accanto al naso e ai sopraccigli, e senti i muscoletti che sorreggono gli zigomi. Stringi gli occhi e cerchi di non far scappare i pensieri, provi ad acchiapparli con la pelle della faccia, prima che qualche frammento scappi via e tu perda il filo della logica.

Sei stanco.

È stanco anche il barista dalla pelle consumata. Ossuta anche la sua faccia.

È curvo in avanti, penso abbia le ginocchia piegate, vedo il braccio dalla spalla fino ai gomiti e la sua schiena ingobbita. Sta mettendo a posto qualche stoviglia sotto il bancone.

Alle sue spalle, nell'angolino del locale, il più lontano e riservato, ci sono due cisterne di metallo. Chissà se fanno rumore, se c'è un generatore.

Chissà se fa rumore il neon della stanza, sapete quel ronzio un po' fastidioso che se lo noti, poi non te ne liberi più.

Fa venire mal di testa. E forse hanno tutti mal di testa, in questo quadro.

Sarà per questo che se ne stanno zitti.

Ho mal di testa anch'io adesso.

Mentre scrivo queste righe, sono ricurva su di un tavolo di legno, come il bancone e sento l'odore del legno e della crema profumata che ho usato stamattina.

Anche la donna nel pub avrà un odore di cosmesi femminile. Sono certa.

Un odore tagliente. Come gli spigoli dei mobili, del vetro, del bancone e delle facce.

Uno storico dell'arte, un tale Ivo Kranzfelder ha notato quest'atmosfera di coltello:

il vetro che divide e taglia l'aria; unisce in senso ottico perché vi vedo oltre, ma al contempo separa. […] alla penetrabilità del vetro, Hopper ha contrapposto gli avvolgibili semichiusi delle finestre ai palazzi di fronte al pub e le luci taglienti”.

Ed è vero: fuori dal locale, la città è muta, fantasma. Più che dormiente sembra abbandonata.

Triste e malinconica.

Sai quando in una casa è morto l'ultimo inquilino?

Sa di senza speranza, pregno di ricordi e senza vita.

Niente futuro.

È il 1942, in fondo.

Un post-Grande-Depressione Americana: sapete quella crisi immensa che ci fu nel '29?

Il 29 ottobre del 1929 crolla la borsa di Wall Street.

È il disastro economico più grande che l'America abbia mai affrontato.

Ognuno è solo senza soldi.

Preoccupato.

La crisi dura dieci lunghi anni: intano c'è stata la Seconda Guerra Mondiale.

Non un periodo felice, insomma.

E quando non sei tranquillo e i pensieri ti agitano il cervello, allora non dormi. E resti notturno, predatore in allerta, come un falco. Un falco notturno.

Chi non dorme, non è sano né felice.

La testa non ha tregua. E non ha silenzio.

Il pittore del silenzio, diceva qualcuno.

O forse il chiasso dei pensieri.

Edward Hopper aveva un quaderno e scriveva ogni quadro, prima ancora di usare il pennello.

Ecco le righe rubate a quegli appunti:

Notte + interno brillante di un ristorante economico. Oggetti luminosi: bancone in legno di ciliegio + una serie di sgabelli attorno; la luce riflessa sui serbatoi metallici sulla destra in secondo piano; una serie di piastrelle luminose di giada messe di tre quarti, sotto la vetrina che gira all’angolo.

Un bel ragazzo biondo vestito di bianco (giacca e cappello) dietro al bancone. Una ragazza con la camicetta rossa, con i capelli castani e sta mangiando un panino.

Ah, quindi è un panino ... eppure sembrava una scatoletta.

Uomo con naso a becco con vestito scuro, cappello grigio scuro con banda nera, una camicia blu semplice e tra le mani regge una sigaretta. C’è un’altra figura scura di spalle a sinistra.Il marciapiede all’esterno è di un verde chiaro quasi pallido. Sul lato opposto ci sono delle case fatte con mattoni rosso scuro. L’insegna del ristorante è scura e c’è scritto “Philies 5c Sigari”, con il disegno di un sigaro.

Fuori al negozio è buio e verde.Nota: l’interno del soffitto è luminoso e contrasta con il buio della strada esterna e sull’angolo della vetrina c’è una piccola finestra.”


Descrizione di colori. Ma a dire il vero qui i colori non sono poi così importanti: sono un tentativo di tradurre un po' di angoscia solitaria, sconforto stanco.

Non c'è azione, solo situazione.


E se sei stato davvero il pittore del silenzio, se davvero volevi rendere silenzio: Edward, non odiarmi se ho provato a dargli voce. Perché in fondo se il silenzio ha i tuoi colori e i colori hanno una voce: beh, tutto sommato anche il Silenzio non è muto.

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